Thursday, January 31, 2008

Le grand marchè



Sull'attuale numero di Intramuros, prestigiosa rivista francese di design internazionale, si
dibatte del rapporto tra arte e design.
In una delle definizione più accreditate, design equivale ad applicazione di princìpi artistici a prodotti industriali. In estrema sintesi quindi, paragonare l'arte al design è come paragonare l'arte ad una sua diretta derivazione; è come paragonare l'automobile ad una Bentley. Si troverebbero pochi spunti di discussione. E' stata proprio questa riflessione che mi ha portato a riconoscere in questo fenomeno delle evidenti mostruosità semantiche. Forse non tutti sanno che da qualche anno a questa parte i più oti designer industriali stanno speculando in maniera massiccia sui prototipi, serie limitate e pezzi uncici, creando un enorme giro d'affari. Punta di diamante del fenomeno è stata la mostra di Marc Newson (Australiano, poco più che quarantenne) ospitata nella galleria newyorkese di Larry Gagosian, uno dei più potenti art dealer al mondo. Si dice che tra librerie, tavoli e poltrone (quasi tutte derivate da blocchi unici di marmo bianco di Carrara) il fatturato dell'operazione sia stato di 12 milioni di dollari in pochi giorni. E ho detto 12 milioni, per oggetti nuovi, per un designer vivo e vegeto, nel cuore della carriera. Christie's e Sotheby's hanno avuto di che sorprendersi. Quell'evento ha in qualche modo trascinato l'intero movimento facendo sì che designer più o meno noti si sbizzarrissero con "pezzi speciali", non sempre belli, quasi sempre overpriced. E' proprio questa categoria "di mezzo" che risulta incomprensibile, dal momento che così facendo il progettista si libera volontariamente dei vincoli industriali (fattibilità, prezzo, sostenibilità), che rappresentano poi la vera sfida che distingue un designer industriale da un artigiano e da un artista.
I prezzi dell'arte da sempre sono stati fissati da rigorosi principi che possono essere sommariamente riassunti in: valenza estetico-tecnica dell'opera e valore intrinseco dei materiali. I dipinti di Leonardo da Vinci appartengono alla prima fascia, il teschio tempestato di diamanti di Hirst appartiene alla seconda. Dal punto di vista dell'acquirente entrambi gli investimenti si rivelerebbero fruttuosi, solidi nel tempo. Si può dire lo stesso per una poltroncina di vetro di Naoto Fukasawa da 80.000 euro, la cui valutazione è chiaramente gonfiata dalla moda, forse passeggera, dei collezionisti di design? Forse si, forse no. La questione è chiaramente molto complessa, ma si riduce all'eterna disputa su quale sia l'esatta definizione Arte, su quali siano i suoi veri confini. L'unica cosa certa è che maggiore è il numero di persone interessate ad un'opera, maggiore è il suo valore, e se qualcuno ha pagato 890.000 dollari per il prototipo della Lockheed Lounge (Marc Newson) un motivo razionale dovrà pur esserci. Un altro fattore da tenere in considerazione è anche la mutata dignità del prodotto industriale e di chi lo disegna. Se fino al XIX secolo l'industria seriale veniva vista come fredda ed asettica risorsa al servizio della nuova classe borghese, oggi il panorama retrospettivo si è caricato di valori storici. Se prima la storia risiedeva soltanto nell'arte e nell'artigianato, oggi dobbiamo inserire anche la produzione seriale, che sta per compiere 100 anni. Se Fidia fosse vissuto nei nostri tempi non sarebbe stato un architetto, ma un designer, e non avrebbe disegnato fregi e statue ma prodotti industriali, che della scultura e dell'alto artigianato sono i veri eredi. Immaginiamo quindi di aver comprato a suo tempo un'opera di Fidia. Che valore
avrebbe oggi? Forse la risposta alle superquotazioni dei one off di Newson sta proprio qui. Fatto salvo che, come in ogni mercato emergente si annidano le fregature e le quotazioni menzoniere, quindi suggerisco ai novelli avventori di questo mercato di prestare molta attenzione agli autori e di affidarsi soltanto all'eccellenza.

JS

Tuesday, January 29, 2008

The great Gatsby


Una volta mia madre mi ha detto: "Sembri il Grande Gatsby".
Avevo un completo di lino bianco due bottoni, camicia bianca di lino, cravatta blu a pois bianchi, scarpe derby di John Lobb bianche e blu e di Jay gatsby non sapevo nulla. Stavo per partecipare ad una cerimonia, era un pomeriggio presto, c'era il sole e faceva molto caldo. Quella era l'unica mise accettabile, ma confesso di aver avuto timore di essere fuori luogo, di rappresentare un mondo che ormai non esiste più, un mondo che forse si sta addirittura cancellando dalla memoria. Non fui sorpreso di essere l'unico di bianco vestito. L'unico vestito nel modo giusto. Qualcuno non capì, e sorrise, qualcun'altro capì invece, e mi invidiò. Quella sera, una volta a casa, sentii di aver portato in giro un messaggio, di aver rappresentato lo spirito di una persona che adesso non c'è più, e che sarebbe stata orgogliosa di me. Questa persona ha cercato di tramandarmi principi di rettidudine, impegno, integrità, che fanno del modo di vestire una naturale conseguenza di essi. L'eleganza, insomma, non può essere un elemento scisso dalle qualità morali di un individuo, perchè si nutre di esse.
Forse ero troppo giovane per capire fino in fondo, e probabilmente troppo giovane lo sono ancora, ma sento che qualcosa di questi insegnamenti mi è rimasto, e riaffiora ogni qual volta qualcosa me li riporta alla mente, come Il Grande Gatsby, rendendoli più saldi e coscienti.
Di strada da fare ne ho molta e, ne sono convinto, queste memorie mi renderanno un uomo migliore e cosciente dell'onore di avere avuto un riferimento, un maestro, un Nonno del genere.

JS

Halloween: the beginning


Non sono amante dell'horror, dello splatter, a meno che non sia al servizio di un meccanismo di paura più raffinato, come, per esempio, quello visto in Saw -l'enigmista. I tempi degli exploitation movies sono passati da un pezzo e le torture alle membra umane ormai non fanno più paura, e non fanno più nemmeno discutere. Fin dai primi episodi della mediocre serie, Halloween è stato semplicemente un sanguinoso cerca-di-fuggire-tanto-ti-ammazzo-lo-stesso, e questo prequel non si discosta molto da lì, se non fosse per il binomio Rob Zombie-Jonh Carpenter, rispettivamente alla regia ed al soggetto (oltre che produzione). Zombie è uno dei più talentuosi registi horror in circolazione, che sa unire nefandezze terribili ad una tecnica cinematografica di primo livello. Fotografia curatissima, espedienti di camera virtuosi, ritmo totalmente sotto controllo. Suggerisco la visione de "La casa dei 100 corpi", opera prima di Zombie, anche ai deboli di stomaco, perchè è davvero un buon film, pieno di idee, a prescindere dal genere che rappresenta.
Halloween è un po sotto quel livello, ma la storia dell'infanzia del mostro a tratti è anche toccante. Peccato che il tentativo di "indagine psicologica" si concluda prima della metà del film, quando lo psicologo (Malcom McDowell, 'nuff said!) rinuncia alle spiegazioni accademiche e fissa la prognosi del giovane Mike su di un laconico "lui è il male".
In conclusione il film resta sospeso tra un po di gocce di disturbo ed una buona dose di ridicolo, facedoci comunque arrivare all'epilogo senza rendercene conto, e questo non guasta mai.
Per valutare un film "di paura" in genere controllo la mia reazione alla fine dello spettacolo: se guardo dietro le porte buie, per controllare, allora è stato un buon film.
Non posso negare di aver cercato con lo sguardo la maschera di Mike nel buio della mia stanza, e poi, quanto mi piace Sheri Moon Zombie.

JS

Friday, January 25, 2008

American Gangster


"Russel Crowe lontano da Insider, Denzel Washington lontanissimo da Training Day, Ridley Scott lontano da tutto. Senza loro tre di queso film non staremmo nemmeno parlando, perchè è soltanto un normale film poliziesco, con qualche ghirlanda in più."

Questa la mia sintetica recensione su Trovacinema, (portale cinematografico di Repubblica) sbrigativa anche perchè trascinata dal disappunto di aver visto disattese le mie grandi aspettative su questo film, che aveva le carte in regola per diventare una pietra miliare e invece va a depositarsi nella catasta delle opere incmpiute di Ridley Scott assieme a Legend, G.I. Jane, Hannibal, Kingdom of Heaven, A Good Year. Intendiamoci, con questo non voglio dire che questi ultimi siano tutti brutti film, tutt'altro, dico semplicemente che hanno tradito le aspettative delllo spettatore. Quando dici Ridley Scott pensi ad un grande, ad un fenomeno poliedrico che ha saputo tingere di epica e sensualità capolavori dark come Alien, ha acceso il fenomeno cyberpunk con Blade Runner, ha fatto commuovere tutti con Thelma e Louise e ci ha fatto riempire d'orgoglio con l'epos de Il Gladiatore. Ogni tanto però sembra pensare che siccome la storia da raccontare è troppo buona, allora gli sia concesso impegnarsi meno per compensare. Quando Scott ha in mano storie popolari, di facile comprensione e sicuro impatto sul pubblico svolge il compitino, forse per la paura di sbagliare, e finisce per innescare il pilota automatico, dedicando il minimo sforzo.

Veniamo adesso ad American Gangster. Trovo inutile soffermarmi sugli elogi alla fotografia, al ritmo ed alle prestazione degli attori, perchè ovviamente è tutto ineccepibile. Ma veramente di ordinaria amministrazione per una squadra del genere. Il problema sta proprio qui: non c'è lo straccio di un'idea degna di tal nome. Tutto scorre nella maniera più ordinaria e prevedibile possibile. Personalmente ho trovato soltanto due sequenze memorabili: l'assassinio a sangue freddo, sul marciapiede affollato, da parte di Frank Lucas (l'unica volta in cui è davvero cattivo) e la serata all'incontro di boxe (che ricorda parecchio Snake Eyes), dove confluiscono tutti i personaggi della vicenda e dove Scott riesce a metterne in scena relazioni e gerarchie in modo rapido, sottile, efficace ed altamente scenico. Belle ma scontate le sequenze "di strada". musicate magistralmente con adattamenti dei splendidi blues dell'epoca.
Quello che invece ho trovato grottesco è lo spirito con cui è stato trattato il contraltare del successo di Frank lucas, ovvero la piaga dell'eroina nelle comunità nere di NYC. Tutto il film è incentrato sulla scalata di Frank, disposto a tutto pur di assumere il controllo della città, che diffonde cinicamente la sua Blue Magic per le strade, infischiandosene dei suoi beneamati "fratelli neri". La favola di potere, a cui ormai ci eravamo abituati, si interrompe quando, durante la preghiera del pranzo del ringraziamento, scorrono in parallelo immgaini delle morti causate dall'avidità che ha portato i grassi tacchini sulla tavola dei Frank. Quasi per mettere a posto la coscienza, Scott appiccica questa cacofonica appendice che declassa definitivamente il film, privandolo dell'integrità morale e narrativa. Se avete visto quel capolavoro che è Blow, capirete a cosa mi riferisco: George Jung è un vero gangster, non ha rimorsi e paga con la sua stessa pelle le coseguenze delle sue azioni. Blow è scanzonato, a suo modo originale, cosi come lo erano stati The Departed, Donnie Brasco e Quei Bravi Ragazzi prima di lui. L'unico personaggio veramente riuscito è il detective corrotto Trupo, uno splendido e viscido Josh Brolin.
Aspettando trepidanti Nottingham (2009), rivisitazione dark del classico Robin Hood, rimandiamo Ridley Scott causa insicurezza, incoerenza morale e poca voglia di stupire.

Wednesday, January 23, 2008

Goodbye Heath.


Sono sconvolto, ieri 22 Gennaio L'attore australiano Heath Ledger è stato trovato morto nell'appartamento Newyorkese di una gemella Olsen. Nudo, a faccia in giù, con sonniferi in zona. La notizia è fresca, e non si sa molto di più. Certo è che non ha mai avuto la fama del maledetto autodistruttivo. Non me lo aspettavo.

Heath ra una dei volti nuovi di Hollywood, bravo, bello e fresco. Dopo parti minori in film importanti (Il Patriota, Le quattro piume) da qualche anno aveva iniziato un'irresistibile ascesa interpretando uno dei due cowboy gay di Brokeback Mountain, il tossicomane in Paradiso+Inferno, Bob Dylan in I'm not there, ma soprattutto convincendo Christopher Nolan a dargli la parte di Joker nel nuovissimo The Dark Knight, seguito di Batman begins, di cui sono già stati diffusi sei minuti in testa ad I am legend.

La faccia di Heath nei panni di Joker è una delle immagini più disturbanti e violente viste ultimamente sugli schermi e questa tragica morte darà tristemente gloria ed eternità a quel personaggio. Riposa in pace.

L'helicoptère d'Hermès


La maison Hermès ha sviluppato il restyling di un elicottero prodotto da Eurocopter. La mossa in se non è nulla di originale, si è già vista in tutte le salse, mancava soltanto l'elicottero. La cosa divertente è che ho avuto modo di conoscere Gabriele Pezzini, il designer freelance che ha realizzato l'opera. Divertente perchè ho avuto a che fare con lui durante un Workshop del Politecnico di Milano, è stato uno dei professori più acuti e simpatici che abbia mai avuto (infatti mi diede 30..); ci occupammo ci "cineserie", ovvero di progettare chincaglierie, ma con il cuore. Avete presente i cesti delle signore cinesi trabordanti di accendini luminosi, tartarughe danzanti ed elicotteri telecomandati? Bene, il brief era di partire da lì e studiare qualcosa che condividesse con quegli oggtti la gestualità, la multifunzione, la semplicità costruttiva ma che al tempo stesso fosse well-designed. Made in Italy insomma, ma con simpatia. Disegnai un pettine fatto di balsa, i cui denti erano fiammiferi. A Pezzini piacque e mi premiò.
Come vedete, progettare un elicottero Hermès o una cineseria richiede le stesse competenze.

Tuesday, January 22, 2008

Monocle: a deep insight


Nonostante legga Monocle da quasi un anno ed abbia sempre pensato di scriverne in questa sede, ho voluto aspettare di averne un panorama completo, per essere sicuro che non si trattasse di un'affezione passeggera. Il momento di parlarne è maturo, ma partiamo da principio.

Spesso la domenica pomeriggio, specialmente con la bella stagione, in sella alla mia bicicletta raggiungo il settore stampa internazionale delle Messaggerie Musicali per la rassegna stampa. Si, sono un divoratore di carta stampata. Generalmente compro due o tre riviste e qualche quotidiano internazionale. L'anno scorso, nel mese di Marzo, dopo aver preso le solite cose (Wallpaper, Surface, I-D, TIME, Financial Times), mi sono avvicinato alla cassa ed ho notato una piccola colonna di riviste nere e lucide. Incuriosito, ne ho sfogliata rapidamente una e ne sono rimasto affascinato. L'ho comprata d'istinto e messa nel sacchetto. Una volta a casa, seduto sul divano è nato l'amore.

Cominciamo con l'apparenza: formato medio, perfetto, maneggevole. Peso contenuto nonostante le oltre 200 pagine, grazie alla leggerezza della carta matte, molto seriosa, molto "news". Livrea essenziale, bianco e nero predominanti, grafica funzionale e curatissima. Fotografie piccole ma di pregevole fattura, formato inchiesta. Nulla di convenzionale insomma, dal primo sguardo ho avuto l'impressione di tenere tra le mani qualcosa di veramente innovativo.
Passiamo ai contenuti, la vera forza di Monocle, che di autodefinisce "A global briefing covering international affairs, business, culture and design". Già, é un briefing, non una vetrina. Tyler Brulé, il fondatore, la vetrina più cool del mondo l'aveva già allestita, quando negli anni '90 s'inventò Wallpaper*, venduta poi a Time Warner. La rivista-vetrina, patinata e "leccata" (di cui WP* continua ad essere riferimento) serve a mostrarci quanto di eccellente nel mondo è già stato fatto da altri, in termini di prodotto e servizio, di retail insomma. In un certo senso quelle riviste vorrebbero convincere il lettore di dargli lo sguardo più attuale e moderno su quanto succede e si produce. In realtà, non rappresentano il presente, nè tantomeno il futuro, perchè mostrano il prodotto, che è frutto di quanto gia metabolizzato in passato, conseguenza delle macrotendenze universali. Monocle invece è un briefing, perche fornisce i presupposti, apparentemente scollegati, che porteranno un buon "progettista" (di oggetti, idee, imprese, prododotti finanziar( a sviluppare qualcosa di realmente innovativo. Monocle cerca di fornire un background di notizie globali a proposito di politica, costume, branding, viaggi, broadcasting e design senza eguali per originalita e rilevanza strategica. Definirei Monocle una rivista strategica, raccoglie tutto il meglio delle riviste di settore e ce lo propone in maniera esauriente ed approfondita. L-aspetto che mi affascina di piu e' forse la selezione degli argomenti. Io mi sono sempre soffermato sui loghi delle linee aeree, il branding delle compagnie ferroviarie, mi sono sempre chiesto come vivessero i neo_oligarchi kazaki, chi fosse il sarto di Barack Obama e come sarebbe bello brandizzare una nazione, dalla bandiera al conio. Monocle, ogni mese, se lo chiede con me. Le riviste generaliste tendono a dare per scontate troppe cose, che invece sono la base delle indagini di Tyler Brule e dei suoi inviati sparsi per il mondo e coordinati dalle sedi di Londra, Zurigo e Tokyo. Visione globale ed amore per il dettaglio, questo e il cocktail esplosivo. Il progetto Monocle, inoltre, non si limita alla carta stampata, perche l-idea e quella di creare un news hub globale, assieme al sito web.

Io lavoro in un famoso studio di design, e sto imparando a distinguere chi vale da chi non vale anche dall-interesse che dimostrano per Monocle.
Non perdero piu un uscita, e non ho intenzione di abbonarmi, per non privarmi del piacere di chiederlo all-edicolante. Leggetelo anche voi, e una sorta di misuratore di ambizione. Mettetevi alla prova.

PS
Monocle will be driven by offering original, never-before-seen content to an audience of well-heeled, intelligent opinion leaders around the world.

JS

Chair First


La fiera internazionale di Colonia 2008 ha appena premiato la sedia Chair_First, disegnata da Stefano Giovannoni, come uno dei migliori 25 prodotti dell'anno e come migliore sedia in assoluto. Podotta da Magis, deve il suo nome alla sperimentazione della tecnologia gas moulding, che ha permesso per la prima volta di iniettare aria all'interno di tutta la sedia, non soltanto nelle parti tubolari, rendendola eccezionalmente resistente e leggera.

A parte il fatto che è una vera bellezza, quando il capo vince, vinciamo un po tutti. Applausi.

JS

Monday, January 21, 2008

Gentlemen with their bicycles



A Milano c'è l'impiegato (ma oggi tendono a chiamarsi tutti manager) che la mattina va al lavoro in sella al suo scooterone (il T-max è ormai status symbol), con il casco MomoDesign, l'auricolare Bluetooth, il "giaccone tecnico", da cui spuntano: un abito (generalmente orribile), un orologio sovradimensionato con cinturino in pelle colorata (drammatico) ed un paio di scarpe dalla strana punta (quadrata o "alla aladino", e ho detto abbastanza). Il tutto per dimostrare di appartenere ad una precisa categoria, quella del "giovane manager rampante", sortendo invece un tremendo effetto di omologazione e tristezza, l'assoluta incapacità di esprimere loro stessi.

A Milano però c'è anche un'altra categoria di uomini e donne, che preferiscono spostarsi in sella alla loro bicicletta, loro che magari "manager" o industriali lo sono per davvero. Alcuni di essi (specialmente gli uomini, perchè più rari) sono degli autentici capolavori. Anche se mi capita di incrociarli anche per un attimo, mi sembra di capire tutto di loro, perchè riescono ad esprimersi in maniera personale. I loro abiti, i loro occhiali, le loro scarpe, i loro sigari, ma soprattutto i loro sguardi fieri, fanno di essi l'incontro più elegante che si possa fare per strada. Poi le loro biciclette, altro che il T-Max, sono segno senza tempo della loro leggerezza d'animo, della loro evidente superiorità.
Non essendo un fotografo allego bellissime foto dal sito The Sartorialist, che ai milanesi in bicicletta ha dedicato addirittura una categoria.

More to see





Nella barra laterale del blog, da qualche giorno, trovate una breve lista di link verso altre cose interessanti da vedere, che poi rappresentano l'inizio del mio percorso internet giornaliero.
Le news del New York Times, il primo grande quotidiano ad offrire la versione online esattamente identica a quella cartacea (gratuitamente), l'immortale Wallpaper, l'unico vero specchio delle evoluzioni del mondo retail, e Monocle, la più piacevole scoperta del 2007, di cui parlerò più approfonditamente in seguito.

Come al solito: news ed approfondimenti dalle migliori fonti.

Poi The Sartorialist e Noveporte, per rendervi conto che non esistono soltanto uomini (e donne) delle palestre.

JS

Thursday, January 17, 2008

The cool guy: JJ Abrams



Se hai scritto Alias e Lost, diretto Mission:Impossible III, il tuo nuovo film, Cloverfield, è il buzz del momento e stai per dirigere Star Trek, allora ti chiami JJ Abrams, e non possiamo più ignorarti.
"There's something about JJ", tutto quello che fa è bello, piacevole, intrigante e terribilmente cool.


Partiamo dal presupposto che il ragazzo maneggia con disinvoltura e precisione tempi, dinamiche e tecniche di narrazione, che sono poi la base per cominciare a parlare di qualità. Troppi autori, o presunti tali, abusano di "licenze estetiche" per mascherare l'incapcità di costruire strutture narrative efficienti. La divagazione puramente estetica, ch'essa sia di derivazione onirica, emozionale o paesaggistica, deve essere subordinata alle logiche narrative, gradevole pausa dalle esigenze dell'intreccio. Se diventa giochino narcisitstico e fine a sè stesso, allora svaluta l'opera nella sua interezza. David Lynch, da sempre considerato "autore visionario" è da pochi anni asceso alla nomea di maestro. Dapprima la sua arte onirica, frammentata, illogica e smembrata era classificata come "di genere" perchè non si aveva la prova evidente ch'egli fosse capace di ragionamenti più coerenti, in poche parole, si aveva il dubbio che non riuscisse a formulare opere tecnicamente ineccepibili. Nel 1999 qualcosa cambiò: quasi a sottolineare i suoi intenti Lynch ci diede "A Straight Story" -una storia semplice- , magnifico esempio di linearità e coerenza narrrativa e sentimentale. Mulholland Drive, fu glorificato l'anno dopo, quando critica e pubblico avevano capito che i disordinati incubi di Lynch sgorgavano da una mente capace anche di istanze scientifiche, di ordine, rigore ed eccellenza accademica. Questo breve inciso per allinearci sul concetto di abilità tecnico-narrativa di base, che già la Poetica aristotelica aveva affrontato in maniera esauriente. La tragedia come forma principe, la mimesi come riferimento assoluto.

JJ Abrabs possiede, fuori da ogni dubbio, questa abilità fondamentale, che gli permette, di volta in volta, di confrontrti con progetti diversi sortendo i medesimi, ottimi, risultati. Se a questa sicurezza di racconto aggiungiamo il secondo quid di Abrams, il mistero, arriviamo a comprendere perchè è "cool". Una "bilogia" che ho amato nonostante la sua imperfezione è quella composta dai due film Get Shorty e Be Cool, divertenti messe in scena, autoreferenziali ed ultracitazioniste, che cercano di mettere in gioco il "cool" come concetto scollegato dalla narrazione, risultando così incoerenti, perchè prive di solidi presupposti formali, seppur molto divertenti. Il "cool" di JJ invece poggia su una sicurezza di fondo che riesce a sostenere le divagazioni misteriose, paranormali e spesso superficiali. Si ha sempre l'impressione, insomma, che esista un valido motivo diegetico a sostegno della nuova eccentrica frivolezza che viene proposta allo spettatore. Con Alias e Lost ha saputo sfruttare magistralmente i benefici del serial, usandone gli allargati confini spazio-temporali per sviluppare un racconto su sovrapposto, su più livelli, piuttosto che dilungare il plot su di una lunghissima direttrice elastica ed orizzontale. La sovrapposizione teporale, il back-to-back-to-forward, l'amore ed il rispetto delle gerarchie umane sono componenti fondamentali della sua opera che ritroviamo anche in M:I3, ad oggi la sua unica gita cinematografica. Nel terzo capitolo della saga di Ethan Hunt troviamo una ouverture che anticipa il tempo marrativo, un malvagio misterioso ed umano e un mistero irrisolto (che poi è il centro della fabula): cos'è la Zampa di Lepre? Mai era accaduto che un film d'azione mainstream tenesse per sè l'oggetto del suo stesso svolgimento. Il contatto umano, fisico e sentimentale con il nemico, poi, è costante. Il cattivo è vera nemesi dell'eroe. Non c'è rispetto formale o tatrale attesa del momento dell'esecuzione. Il cinismo con cui i villains si contrappongono agli eroi è un'altra delle cifre del suo raccontare.

La padronanza assoluta della storia, dello scenario complessivo della narrazione, dell'universo che la ospita, è talmente evidente che le operazione di viral marketing trovano luogo in maniera quasi naturale, quasi come se fossero parte integrante, approfondimento dei fatti e dei presupposti storici della storia stessa. Il sito della Dharma Initiative era così ben fatto e poco scontato da aver mosso non pochi dubbi sulla sua veridicità anche ai fan più incalliti, addirittura speranzosi che la storia che tanto li stava apassionando potesse avere tentacoli anche nel mondo reale. Il suo ultimo film, Cloverfield, è diventato un caso ancor prima dell'uscita. C'è gente in giro per il mondo che, dopo la diffusione di falsi trailer, falsi titoli e locandine, si sta sbizzarrendo per cercare di dare una forma al misterioso mostro che attacca NYC. Questa è attesa per uno spettacolo, genuino rispetto per un cantastorie, reverenza per chi ci permette di sognare con i suoi racconti. Se esistesse oggi una corte degna di tal nome JJ Abrams sicuramente ne farebbe parte.

Per il 2008 è prevista anche l'uscita del suo Star Trek. Io ho sempre odiato quella serie, forse perchè non riuscivo a trovarla commisurata ai desideri del mio tempo. Se JJ Abrams riuscirà anche a vendermi Star Trek, allora mi convincerò sempre di più che è tra i migliori autori di entertainment del nostro tempo.

JS

Monday, January 14, 2008

I am legend


New york deserta come non la si era mai vista. Se in Vanilla Sky la desolazione era circoscritta a Times Square (e fu già un bel nodo alla gola), qui si è fatto di più, epurando tutta Manhattan, seppur con il ricorso al digitale. Il risultato è un po "plastificato", ma funziona, perchè Will Smith sta diventando un attore vero e perchè la narrazione, per quanto possa sembrare inusuale per un mainstream del genere, è asciutta, serrata, ragionata. Tom Hanks in Cast Away è stato eccellente, nella prova solitaria con la spalla-pallone Wilson ma Will Smith è ancora più convincente e romantico con il cane Sam, rendendo decisamente umano un contesto che di umano non aveva più nulla e dimostrando, soprattutto, che si può fare un blockbuster di qualità, che intrattenga ed al tempo stesso non precipiti nell'ammiccamento e nell'ovvietà.
La prima parte del film (circa 45 minuti) è davvero bella ed equilibrata, crea la giusta suspence, genera notevole curiosità e riduce al minimo gli incontri-splatter con i mostri. Tanto di cappello. Dalla trequarti in poi l'intreccio si fa un po sbrigativo e si tende a "tirar via", proponendo un finale rapido e tutto sommato atteso, in cui rischia persino di esplodere la solita morale atea e meccanicista cui siamo tristemente abituati: Dio non esiste-l'uomo ha combinato il disastro-l'uomo risolverà il disastro-perchè life will find the way. Venti minuti in più non sarebbero stati di troppo, su quegli standard. Resta comunque la piacevole sorpresa di un film ad alto budget ben fatto, divertente, totalmente privo di quella demenza patriotico-eroista diventata ormai troppo diffusa ed insopportabile, almeno per i miei gusti. Bravi.

JS

Wednesday, January 09, 2008

Vodka Wars


In principio c'era soltanto Absolut, "premium vodka dalla Svezia", ad uscire dal coro, posizionandosi nella fascia dei super alcolici di lusso. Fu la prima a guadagnarsi lo status di Brand, grazie alla fortunatissima campagna promozionale "Absolut something" che rese indimenticabile la silhouette delle proprie bottiglie. Insomma, c'era chi beveva vodka, e chi, con tono di superiorità, ordinava Absolut Vodka, che diventava così a tutti gli effetti status symbol, dichiarazione palese della ricerca del premium product anche in fatto di vodka. Ricordo anni in cui in discoteca (che è poi il pricipale showcase di questa tipologia di prodotti) si diceva semplicemente "porti due Absolut per favore", come se non ci fossero alternative. I locali che portavano Moskovskaya, Wiborowa o, ancora peggio, Skyy, venivano bollati come "cheap" ad aeternum. Però si sà, le nicchie di mercato felici e solitarie non vengono lasciate a presidio monopolistico troppo a lungo.
In questo triste periodo di semi-recessione è decisamente noto che il settore lusso sia quello che tira di più, specialmente nei settori in cui il super-premium è raggiungibile con poche centinaia di Euro. Ecco la nascita (o l'affermazione) quindi delle super-premium Vodka: Belvedere, Grey Goose, Russian Standard, Level.
Partendo dal presupposto che soltanto in pochi ne percepiscano effettivamente le differenze di gusto (che comunque sussistono), in questi ultimi 2-3 anni è scoppiata, più feroce che mai, la guerra tra brand di vodka, che si contendono le pagine degli inserti patinati del Financial Times e le boule dei tavoli più spendaccioni nei migliori club del mondo.
La prima vera operazione di mercato premium fu studiata a tavolino dall'illuminato imprenditore Sidney Frank che si inventò Grey Goose Vodka, proponendola agli americani come la miglior vodka del mondo, forte di complessi processi di distillazione attuati in Francia. Le radici francesi del prodotto aiutarono non poco gli americani a percepirlo come super-premium, facendone un successo assoluto. Grey Goose Vodka fu venduta nel 2004 a Bacardi per 2.2 miliardi di dollari. La strada delle vodke di lusso a questo punto era segnata. L'utilizzo di grani particolari (Belvedere) o gli oroginali sistemi di distillazione (Russian Standard) non sono che scuse per giustificare l'innazamento spaventoso dei prezzi, che invece vengono fissati in maniera metodica per acuire la brand perception.
In Europa la hit del momento senza dubbio Russian Standard (nelle varianti Original, Platinum, Imperia) frutto della vulcanica mente di Rustam Tariko, self-made billonaire, che sotto il marchio Russian Standard accoglie anche una delle più importanti realtà bancarie (piccolo credito) russe. L'idea era semplice: la Russia, patria riconosciuta della vodka, non aveva un leading-brand in quell'ambito. Design delle bottiglie e promozione mirata hanno fatto di Russian Standard il must-have in tutti i tavoli che si rispettino.
Anche Absolut, sentendosi spodestata da quel segmento ha creato in risposta Level, la vodka di lusso che si fregia di un perfetto equilibrio di distillazione.
Come in quasi tutti i prodotti, alla fine, sarà il brand, non la vodka a vincere. La guerra della vodka super-premium si sta combattendo con la finitura satinata delle bottiglie Belvedere, lo scintillio metallico delle Russian Standard e con la potenza delle loro campagne publlicitare.

Tuesday, January 08, 2008

Ecopass Milano/2

Credo di dovere pubbliche scuse. Oggi, Martedi 8 Gennaio, è considerato il secondo giorno di test realistico sul comportamento di Ecopass nei confronti del grande traffico. Ieri, lunedì, avrebbe dovuto essere il primo e, devo dire, sono rimasto sorpreso positivamente. Alle ore 9 del mattino, all'interno dellla cerchia dei bastioni, Milano sembrava la Londra di 28 Giorni dopo, deserta! Il percorso casa-lavoro, che normalmente coprivo il 25-40 minuti, ieri è durato poco più di 10. Un sogno. Stamane mi sono chiesto: "Vediamo cosa succede al di fuori della cerchia?" -immaginando già congestioni epiche. Risposta? 15 minuti netti ed ero in studio.

Rispetto alle mie previsioni, controllando meglio, mi sono reso conto che in realtà le auto che non possono circolare liberamente sono un po di più, per esempio la BMW di mio fratello (anno 2004) è senza filtro antiparticolato. Ma sicuramente la vera causa di questo meraviglioso effetto-coprifuoco è un'altra: l'Ecopass ha fatto paura alla gente che, piuttosto che rischiare, non riuscendo ad informarsi completamente, ha preferito rinunciare all'auto. Come avrete sicuramente letto sui giornali i problemi logistici relativi al pagamento ed all'informazione al cittadino sono stati parecchi in questa fase introduttiva e sicuramente sono stati il traino di questa apparente riuscita.
Sperando di sbagliarmi, intanto, mi godo questa situazione meravigliosa.