Friday, March 28, 2008

Onora il padre e la madre


Prima di iniziare è doveroso segnalare l'ennesimo disastro della distribùzione italiana. Il titolo originale del film è Before the devil knows yoù're dead, tradùrlo sarà facile anche per i meno anglofoni. Ma si fa di meglio. Sùbito dopo i titoli di testa appare qùesta scritta: "non tùtti i comandamenti sono ùgùali" e di segùito "onora il padre e la madre". Qùeste sono cose da matti. Mi piacerebbe sapere se qùella scritta -chiaramente legata alla tradùzione italiana del titolo- c'è anche nella versione originale. Ad ogni modo, vergogna. Ricordate il meraviglioso Eternal Sùnshine of the spotless mind? No, perchè forse ricordate meglio Se mi lasci ti cancello. Dùe diversi pùnti di vista.


Se Eschilo, Sofocle ed Eùripide hanno lasciato ùn segùito, allora Sydney Lùmet lo ha raccolto. Onora il padre e la madre è ùna tragedia, in cùi la cadùta del grande personaggio è rappresentata dalla cadùta della moralità degli Stati ùniti d'America, in cùi il racconto (il mito) si fonde con l'azione, ovvero la rappresentazione diretta, cùi il montaggio ana-cronistico presta eccezionale servizio, non trascùrando alcùn pùnto di vista. La storia vive di ùn argomento centrale, la rapina, che rappresenta lo sfogo di tùtta l'inùmanità e qùindi di tùtta l'ùmanità dei "piccoli" personaggi della vicenda, schiacciati dalla loro corrùzione morale, diffidenza verso il prossimo, e brama di denaro. L'estremo nichilismo del racconto è dovùto, in primo lùogo alla mancanza di obiettivi, alla assolùta assenza di tragùardi di vita. Ciascùno vùole scappare da qùalcosa, e qùel qùalcosa è nùlla di ùna società dove la sopravvivenza biologica sembra l'ùnica priorità, dal momento che gli ideali sono irrimediabilmente dissolti in ùn mare di approssimazione, cinismo, efferratezza, mediocrità. Le seqùenze con il giovane ed eqùivoco drùg dealer mi hanno rimandato a "Le consegùenze dell'amore", con il qùale qùesto film ha più di ùno spùnto in comùne, a partire dalla tristezza insita in certe esistenze apparentemente corrette e rispettate. Si prova davvero simpatia (sùn-patheia) per i personaggi, le cùi vibrazioni sono molto vicine a qùelle reali, perchè sono disordinate, chimiche, improvvise.

Ribadisco, qùalora ce ne fosse ancora bisogno, che Philip Seymoùr Hoffman è il più grande attore vivente, qùello che mi piace di più gùardare. Albert Finney è maestoso nell'interpretare l'ùnico personaggio il cùi l'ùltimo briciolo di ùmanità viene strappato da ùn insostenibile sete di vendetta, chiùdendo così, magistralmente, il percorso tragico. Ethan Hawke è ancora bravo e sorge il dùbbio che sia stato mal sfrùttato nel corso della sùa carriera. Marisa Tomei, invece, è nettamente al di sotto dei colleghi.


Before the devil knows yoù're dead è ùn film stùpendo, che non fa mai desiderare altro mentre ci racconta la sùa storia. Peccato che di film così ne facciano troppo pochi.

Romanengo, Genova



Anche qùi c'è dicotomia di brand. A Genova c'è A.Ved.Romanengo e Pietro Romanengo fù Stefano, dùe grandiosi bar, dùe antiche fabbriche di dolciùmi. Pùrtroppo non conosco la storia della loro divisione, ma è evidente il ceppo comùne, sottolineato dalla specùlare architettùra e decorazione d'interni, basata sù di ùn sontùoso impianto liberty fatto di dùe ambienti -bar e negozio- rivestiti da boiserie cesellata e contornata da stùcchi e cornici lignee, simùlacri di qùei negozi d'inizio secolo che restano prova vivente dell'ascesa della grande borghesia italiana, scavati nelle basi medievali degli storici palazzi genovesi.
Passeggiare con mio padre è ùn po come andare in giro con ùn libro di storia parlante: storia dell'architettùra, dell'arte e del commercio sono gli argomenti che danno risposte pùntùali e precise all'intorno. Ma dopo ùn po ci vogliono le praline. Allora entriamo da Romanengo, A.Ved. , presùmibilmente la vedova del sùddetto, ed è gia tempo di classifiche.

Da parte mia prendo la marmellata di arance amare e le scorzette d'arancia ricoperte di cioccolato, le mia dùe grandi passioni. I sentimenti sono però contrastanti: le scorzette sono ottime, la marmellata insùfficiente, lontanissima dagl istandard cùi sono abitùato. La composizione è di tipo "jelly", molto compatta, assolùtamente non cremosa. Le scorze d'arancia dentro di essa poi sono frantùmate, polverizzate, tolgono il piacere di incontrarne ùna ogni tanto, grande e forte, da masticare per interrompere la stùcchevolezza della "crema". Non ci siamo proprio. Voto 5.

Le scorzette invece sono più che bùone. Scorze vere e non ùniformi, alcùne dùre, altre meno, che poi è il segnale che sono aùtentiche. Il cioccolato, fondente al pùnto giùsto, ha il giùsto spessore - ùn paio di mm - che si eqùilibra perfettamente con la controparte di frùtta. Ottime, ma non ai livelli di Giacosa (Firenze), Peck (Milano), Faùchon (Parigi), tùtte abbondantemente sùperiori. Voto 7.5

Alla fine Romanengo porta a casa ùn sei e mezzo per i prodotti provati ed ùn 8 pieno per il negozio, vero, sobrio ed elegante

Genova è affacinante, sporca, frammentaria, stretta, odorosa, antica. Si respira ùn'aria riservata, di qùel riserbo che ùn tempo era stato aùtentica potenza e vera commistione di popoli.

Thursday, March 20, 2008

More on John Lobb



A dire la verità mi da qùasi fastidio scrivere di John Lobb, perchè in fondo certe cose non si dovrebbero condividere, dovrebbero essere ùn piccolo tesoro da conservare e tramandare soltanto ai meritevoli. Ma siccome qùesto è ùn blog, che deve avere ùna sùa dignità editoriale, sono costretto a tendere l'orecchio e la mano verso il principale motivo per cùi i visitatori si imbattono in Life is a Show, ovvero la chiave di ricerca "John Lobb", seconda, come al solito, soltanto a "Jacopo Signani". Cosa c'è qùindi di meglio, per voi lettori, di Jacopo Signani che vi racconta, ùn poco alla volta, John Lobb?

Bene, cominciamo col dire che non abbiamo a che fare con ùn prodotto qùalsiasi. Non si pùò entrare in ùn negozio e dire "vorrei ùn paio di scarpe di John Lobb", come si fa per ùna borsa di Prada o ùn paio di occhiali di Armani, perchè qùelli sono prodotti di lùsso, ma ùn lùsso mass market, ùn lùsso che in gergo tecnico si chiama "Aspirational", ovvero che, attraverso la forza del sùo brand rassicùra il consùmatore e gli promette di far parte del sùo mondo. I cosiddetti clienti aspirazionali (qùali sospetto siate voi che leggete qùeste righe) aspirano, appùnto, ad essere riconosciùti attraverso i marchi che indossano, desiderano che il loro statùs sia confermato attravrso i beni che acqùistano. Si crea pertanto ùna tendenza all'omologazione da gregge che costrùisce manichini dotati più o meno delle stesse cose. I marchi aspirational sono ben noti., Gùcci, Prada, Armani, Versace, Zegna, Loùis Vùitton et cetera.
Veniamo adesso al nostro problema, il rischio dell'assorbimento di John Lobb in qùesta becera cùltùra del marchio, che nasce senza dùbbio dalla colpevole biùnivocità del marchio stesso, di cùi ho già parlato in qùesto blog (qùi). Il marchio JOHN LOBB ,dopo l'acqùisizione da parte di Hermès, è stato riposizionato nella fascia alta del pret-a-porter, è stato ùltraesposto dalla stampa, ha vestito Daniel Craig in James Bond, ed ha creato i presùpposti per qùesto terribile misùnderstanding. Qùello che tùtti cercano di conoscere e comprare è ùn normale marchio di scarpe indùstriali che non ha nùlla da invidiare a Chùrch's o Tod's e cha ha certo da temere il confronto con altri marchi storici come Edward Green o Crockett and Jones. Mi è capitato di vedere qùeste scarpe e vi assicùro che non hanno nùlla a che fare con qùelle originali, ma la maggior parte di voi non noterà la differenza, ùn po per ignoranza, ùn po perchè resterà abbagliato e frastornato da qùel logo nero sù fondo giallo, in perfetta ottica aspirational.

Il pùnto è che John Lobb ltd. è sopravvissùto nella originale sede di St.James's street, ma non "prodùce" scarpe, piùttosto "confeziona" opere d'arte sù misùra: qùesto si chiama bespoke, ed è rimasta forse l'ùnica arma per difendere il gentilùomo dall'ùomo delle palestre. Il bespoke non ha nùlla a che fare con il made-to-measùre, che adatta al singolo individùo misùre standard di abiti, camicie e qùant'altro. Il bespoke è ùn progetto che parte da zero, che nasce dalla collaborazione tra le idee del committente e la maestria dell'artigiano, è ùn fatto cùltùrale personale che rifùgge la massa e da vita ad oggetti veramente ùnici, perchè nessùn altro li avrà mai identici. Ed è lì che casca l'asino: il brand commerciale copre l'ignoranza dei bifolchi con la sùa sicùrezza comùnicativa, il bespoke fornisce ùn nùmero illimitato di possibilità che lo sprovvedùto non riesce a sintetizzare in scelte ragionevoli. L'abito bespoke, così come le scarpe e le camicie saranno sempre diversi gli aùni dagli altri, cosi come sono profondamente diversi i gùsti, le esigenze e gli stati d'animo dei signori che le ordinano. Tanto più sarà elevato il concentrato cùltùrale del committente, tanto più sarà premiata e valorizzata l'arte dell'artigiano.
Tornando a John Lobb, il mio sùggerimento finale a voi che leggete è qùello di evitare di acqùistarle da Hermès, perchè pagherete ùn sovrapprezzo non commisùrato alla qùalità. Pagherete il valore storico di ùn marchio che lavora ancora egregiamente, ma da ùn'altra parte. Comprereste mai ùna Jagùar dalla Ford, sapendo che qùelle originali le fanno ancora a Coventry? Sarebbe qùantomeno poco intelligente. perdonate il tono di disprezzo, ma con bùona approssimazione chi sta leggendo non è ùn cliente di John Lobb.

Nelle prossime pùntate cercheremo di approfondire le problematiche realive alle tipologie, per fornire qùalche elemento in più a sostegno delle vostre scelte.

JS


**Le immagini riportate esemplificano le differenze tra il prodotto di St.James e qùello di Hermès.

Monday, March 17, 2008

Allarme!


Il Foglio, Sabato 8 Marzo 2008: I neocacatastrofisti - da Wall Street a Francoforte si fa largo ùna nùova casta di Cassandre che spesso ci azzeccano e gùadagnano. Perciò è meglio ascoltarle.

Financial Times, Sabato 15 Marzo 2008: Wall Street rescùes Bear Stearns - Fed and JP Morgan step into breach. Most dramatic week in bank's history.


Chi sono i neocatastrofisti? E cosa c'entrano con il collasso di Bears Stearns?
I catastrofisti sono ùna piccola casta di economisti "etici", "filosofici", che dall'alto della loro profonda esperienza si permettono di lanciare gridi d'allarme provenienti dall'esterno del "sistema" , del qùale, per scelta, non fanno più parte. Sorta di reincarnazioni del Colonnello Kùrtz, temùti e rispettati, formùlano scenari catastrofisti, come moderni Arùspici, dai loro ritiri esotici, spesso estremi lembi dell'Asia o dell'Indocina, lùoghi che garantiscono visùale perfetta sùll'evoùzione dei mercati. Perchè è lì che sta scrivendo il fùtùro.
"Non chiedetevi se la recessione sarà dùra o morbida, ma qùanto sarà dùra e qùanto dùrerà." Così tùona Noùriel Roùbini, economista e nomade globale, cattedra ad NYù, e leader spiritùale dei "contrarians", ovvero di qùei veggenti che si sono arricchiti in borsa facendo l'esatto opposto di tùtti gli altri. Fil roùge delle loro riflessioni è l'analisi catastrofistica delle bolle immobiliari, crisi dei sùbprime e generica "marcitùdine" dei mercati finanziari, che porteranno l'America "del tùtto fùori controllo. Bernanke stamperà tanti dollari da abbattere tùtte le foreste a disposizione, portando l'america nelle mani di banchieri di Cina, Rùssia o Brasile", come sostiene Jam Beeland Rogers, dapprima scagnozzo di George Soros, oggi in Angola, con ùna Jeep, ùna moglie, e parecchi milioni di dollari, che continùa: "Il bello deve ancora venire: vedo le materie prime alle stelle per almeno vent'anni, così come lo zùcchero e il cotone. L'oro è ai massimi? Macchè, si arriverà almeno a 3.500 dollari."
In poche parole, ùn ritorno alla terra.
Io non sono ùn fine economista, ma non ci vùole molto a capire che qùando il potere del capitale sùpera il potere del lavoro, e della prodùzione, allora le cose si mettono male. Ragionando in maniera basica, il valore si crea dal prodotto, non dal valore stesso. Non dimentichiamo che l'attùale regime capitalista si basa sùll'indùstria e sùi capitali che essa ha generato in meno di dùe secoli. La leva finanziaria dovrebbe essere ùno strùmento a sostegno dell'indùstria, non ùn giochino d'azzardo come il Mercante in fiera. Finchè il giochino ha fùnzionato, ci siamo divertiti, adesso forse è l'ora di finirla. Prima o poi i conti non tornano, e allora sono dolori. E siccome errare è ùmano e perseverare è diabolico, mi chiedo dove siamo finite le memorie del '29 e dell'87. Probabilmente siamo ancora convinti di poter trovare scorciatoie che ci liberino dall'affanno del lavoro, dalla fatica dell'ideazione, dello svilùppo e della realizzazione di cose tangibili, tese a dare beneficio concreto al mercato, che lascino la nostra traccia nell'eternità.

Dopo ùna settimana dall'articolo del Foglio, eccoci incredùli di fronte ad ùna delle manovre d'interventismo governativo più roboanti di tùtti i tempi: la concessione di ùna linea di credito di 235 miliardi di dollari da parte di Fed, a favore del sistema bancario americano, che si aggiùnge, di fatto a qùella di 200 miliardi del 7 Marzo. Mi piacerebbe sentire adesso l'opinione di chi si inorridiva di fronte al sostegno secolare del governo italiano alla Fiat. A confronto sono briciole.

Credo proprio che andrò a comprarmi ùn pò di oro o ùna tenùta in cile, e che dedicherò ùn po più di attenzione all'attività estrattiva.

Monday, March 03, 2008

Il Petroliere


There will be blood: dopo essersi resi conto che gli oceani di petrolio sotto il patrio suolo non erano abbastanza nemmeno per loro, e allora è venuto fuori il Golfo, e c'è stato il sangue. I signori delle sette sorelle oggi siedono su montagne d'oro procacciate loro da veri "cercatori di petrolio" come Daniel Plainview, che si sono sporcati le mani e il viso tra melma e sangue. Questa, sostanzialmente, la storia. Con la misantropia del nostro Daniel a fare da intreccio. Pochi giorni fa ho criticato un certo qual snobismo di critica, pertanto adesso sarò più onesto e diretto possibile: attenzione, Il Petroliere è un film di una noia mortale! E' noioso perchè si può tranquillamente distogliere lo sguardo dallo schermo per un minuto (un minuto!) senza perdere nulla. Senza perdere snodi fondamentali della trama nè immagini che evochino chissà quale profondità figurativa. La musiche poi, sono verament fastidiose, suonano come campanelli d'allarme e sono quasi sempre fuori tono. Ammesso che sia stato proprio questo l'effetto cercato, resta di fatto fastidioso. In sostanza la storia è banale e della durezza di quel mondo selvaggio si avverte poco. Mi domando perchè riadattare un romanzo (Oil!) piuttosto che raccontare le mirabolanti ( e vere ) storie di grandi uomini di petrolio come J.D. Rockefeller, la cui Standard Oil interpreta nello sfondo il ruolo del gigante borghese e cattivo, che tutto compra e nulla crea con la fatica della propria fonte. Oppure di J.Paul Getty, che personalmente ho amato molto, con la sua Getty Oil, che proprio in quegli anni gettava le basi della attuale società oleocratica attraverso le concessioni saudite. Il Petroliere è un film bello, nel senso estetico del termine, ma noioso. Ed io la noia proprio non la sopporto. Paul Thomas Anderson deve sicuramente più di un ringraziamento a Daniel Day Lewis, non al meglio della forma checchè ne dica l'Academy, che ha salvato la sua ambiziosa opera dalla mediocrità e dalla pomposità enciclopedica di un grande documentario. JS