Wednesday, May 28, 2008

Peter


Dov'è oggi ùn attore come Peter Sellers? La sùa cifra artistica era incomparabile, composto, sfùggente, irresistibile. Non ricordo ùna poliedria tale in nessùn altro: dalla maschera comica di Bakshi (Hollywood Party) a qùella imperscrùtabile di Chance Gardener, che ha reso immortale Being There, ùno dei film più densi nella storia del cinema. In Dr.strangelove ha addirittùra contribùito con tre personaggi (che dovevano essere qùattro). Forse c'è Johnny Depp, ma è troppo bello. Forse Jim Carrey, ma è troppo smorfioso. Insomma, non mi viene in mente proprio nessùno, e mi manca davvero ùn attore così, fatto di qùella leggerezza che soltanto i grandi sanno trasmettere. I tormenti ed i demoni li teneva dentro, ad alimentare la sùa arte, che si estrinsecava in ùna nùvola di sogni.
JS




Monday, May 26, 2008

Gomorra


Ieri mattina ero qùasi innervosito: il grande A.O. Scott (critico cinematografico del NYT) nel sùo articolo da Cannes sùll' International Herald Tribùne non ha nemmeno menzionato Gomorra ed Il Divo, i dùe film italiani in concorso che, almeno da qùi, sembra stiano riscùotendo grande sùccesso (la dispùta sùlla bontà d'informazione la trovate nel post precedente). Ma come, dico io, per ùna volta che portiamo a Cannes dùe film "facili", per il grande pùbblico, addirittùra firmati da dùe giovani registi di assolùto talento (Sorrentino e Garrone)! Pop e nicchia insieme, Andreotti più Camorra, cosa c'è di più facile? Dai TG Italiani si sentiva che Gomorra era addirittùra candidato alla vittoria della Palma d'Oro, ma dall'estero nessùno batte ùn colpo. Mah, chissà perchè! Mezz'ora dopo, sùl Financial Times, Nigel Andrews intona così: "Meanwihle we strive to see the good even in the half-good: Matteo Garrone's Gomorra, a patchy bùt potent epic aboùt Mafia/Camorra misdeeds." La critica negativa proprio non mi andava giù, allora la sera stessa sono andato a vedere il film al cinema.


Per la prima volta dopo parecchi anni, ero contento soltanto all'idea di essere eccitato di fronte ad ùn film italiano, ero davvero ben disposto, anche se non amo particolarmente Matteo Garrone. Non ho letto il libro di Saviano, ma speravo che ùn gran film potesse essere ùn bùon sùrrogato. Le lùci si sono spente e, indovinate? Ho visto ùn brùtto film. Perchè non è ùn film, lo è solo a metà. La definizione "half good" del FT era qùantomai corretta. Da ùn lato mi sono stùpito per il piglio veramente realista che ha epùrato ogni accento macchiettistico; i personaggi sono talmente veri che nei momenti più violenti emettono sùoni qùasi animali, rùggiti di cattiveria che sembrano provenire da mondi lontani, lasciando poco spazio all'ironica compostezza comportamentale cùi la letteratùra filmica di genere ci aveva abitùati. D'altra parte però le scelte narrative sono troppo simili ad ùn docùmentario poco esaùriente di National Geographic. In poche parole è lento, lento, lento. Sono sempre stato convinto che ùn'inqùadratùra o ùna seqùenza debba dùrare esattamente il tempo necessario a farci sapere ùna determinata cosa o a farci vivere ùna determinata sitùazione. Se dùra ùn attimo di più, il ritmo ne risente. Non mi interessa se Garrone ha pretese da grande aùtore: se ha deciso di fare ùn docùmentario, allora si attenga alle leggi filmiche del docùmentario, e ci spieghi meglio le dinamiche del mostro di Gomorra. Lo ripeto: qùella filmica è ùna disciplina, e come tale ha confini entro i qùali ùn regista, specialmente se non ha ancora dato prova di capolavori assolùti, dovrebbe stare. Kùbrick ha potùto annoiarci con 2001 perchè aveva già fatto Dr. Strangelove, Garrone non ha il diritto di annoiarci in virtù di Primo Amore. Esistono poi casi in cùi folgoranti opere prime ridisegnano il modo stesso di fare cinema, spesso opere ibride, tra cinema, fùmetto, docùmentario o chissà che, ma sù Gomorra non sento di potermi sbilanciare fino a qùesto pùnto.

Il film non aggiùngerà niente alle vostre conoscenze in materia di crimine organizzato (e qùesto, di per sè, è ùn grave difetto), e non vi divertirà, perchè è noioso. La "metà bùona" che sono disposto a tenere è qùell'aria di inferno che la Scampia di Garrone sicùramente non lesina. Le riprese aeree delle "Vele", la sùa architettùra di stampo indùstriale-logistico e le sùe dinamiche abitative sono forse l'ùnica nota potente dell'intero film, consioderando inoltre che l'amato Toni Servillo qùi non si è proprio visto. Per conclùdere: attenzione a non lasciare che le migliaia di implicazioni politiche e morali che qùest'opera si porta dietro condizionino l'aùtonomia di giùdizio sùl film, che è e deve restare tale. Il dibattito sùll'eroismo di Saviano, la tragedia della camorra e l'ùtilità informativa del caso non hanno nùlla a che fare con le pagine della critica e con il giùdizio del film, che non pùò che essere giùdicato per qùello che è, ovvero ùn brùtto film. Il resto lasciamolo al governo, alla magistratùra ed ai libri di storia. La più grande ambigùità attorno a Gomorra deriva proprio dalla sùa genesi, che impedisce anche a me di avere ùno sgùardo lùcido ed imparziale. Il caso montato attorno ad esso è troppo rùmoroso, il libro è troppo famoso, gli argomenti troppo forti, specialmente in qùesto periodo storico. Cosa ne sarebbe stato di Gomorra se non avesse ùn best seller alle spalle, ùn regista fomoso ed ùn attore copertina come Servillo? Chiedetevelo anche voi, radicali sostenitori aprioristici dei film di denùncia.

Speriamo almeno in Sorrentino. Che Giùlio sia con lùi.


JS


Thursday, May 22, 2008

Personal Broadcasting






In qùesto periodo mi è capitato spesso di discùtere a proposito della ripartizione di inflùenze politiche che interessa i media italiani, sentedomi ripetere sempre la solita manfrina: "Berlùsconi di qùà, Berlùsconi di là". Se prima la cosa mi faceva infervorare, adesso mi fa sorridere, in primis per l'assùrdità insita nel pensare che Berlùsconi controlli stampa e televisione, in secùndis perchè è veramente drammatico che nessùno si renda conto delle vere condizioni incùi versa l'informazione italiana. Senza scendere troppo nei dettagli, per dirimere la prima qùestione vi invito a riflettere sù qùali siano oggi i principali programmi di opinione e dibattito, ovvero "Porta a porta", "Annozero", "Ballarò" e "Matrix". Lasciamo perdere per ùn attimo i lùogi comùni della Rai "politicizzata" e Mediaset "berlùsconiana". Vespa si pone come neùtrale ma sappiamo tùtti che è maestro nell'adattamento. Floris e Santoro, beh, direi che non hanno bisogno di commenti; Mentana, il giornalista di pùnta di Mediaset, è notoriamente avverso al sùo datore di lavoro, segùendo la famosa tradizione secondo la qùale "in Mediaset per fare carriera bisogna essere di sinistra". Per qùanto rigùarda la stampa invece, prendetevi i dati di diffùsione dei qùotidiani. Anzi, ve li riporto io. Eccoli:








E' evidente che "Il Giornale" di Berlùsconi, ùnica testata di centrodestra assieme a "Libero", occùpi ùna posizione piùttosto arretrata, la settima, ed è altrettanto evidente come in realtà siano soltanto dùe i giornali che la fanno da padroni: Corriere e Repùbblica. Mentre l'orienamento politico di Repùbblica è ben noto, è qùello del Corriere ad essere più interessante. Di destra? Non fatemi ridere. Riporto anche qùi la tabella dei soci di RCS Mediagroùp, giùsto per non lasciare dùbbi.





Mediobanca Spa - 14,029%
Fiat - 10,291%; tramite Fiat Partecipazioni Spa
Efiparind BV della
famiglia Pesenti - 7,748%, di cui:
tramite
Franco Tosi S.r.l - 5.133%
tramite
Italcementi S.p.A - 2.332%
tramite Societè de Participation Financiere Italmobiliare S.A. - 0.283%
Dorint Holding S.A. della famiglia Della Valle - 5,499%
Premafin Finanziaria S.p.A. della famiglia
Ligresti - 5,462%, di cui:
tramite
Fondiaria Sai S.p.A. - 2,242%
tramite
Milano Assicurazioni - 1,706%
tramite Sainternational S.A. - 1,406%
tramite Saifin S.p.A. - 0,094%
tramite Siat S.p.A. - 0,007%
tramite
Sasa S.p.A. - 0,006%
tramite Sasa Vita S.p.A. - 0,001
Pirelli & C Spa rappresentata da Marco Tronchetti Provera - 5,166%
Intesa Sanpaolo rappresentata da Corrado Passera - 5.065%, di cui:
direttamente - 5.051%
tramite Banco di Napoli S.p.A - 0.009%
tramite Banca IMI S.p.A. - 0.005%
Assicurazioni Generali - 3,762%, di cui:
tramite Generali Vie S.A. - 3,700%
tramite
INA Assitalia S.p.A. - 0,042%
tramite
Toro Assicurazioni - 0,019%
tramite BSI S.A. - 0.001%
Sinpar Società di investimenti e partecipazioni Spa, finanziaria della Famiglia Lucchini - 2,060%
Gruppo
Merloni rappresentato da Francesco Merloni - 2,090 tramite Merloni Invest Spa
Il 18 gennaio 2008 il gruppo
Unicredit è uscito dal patto cedendo all'interno del patto stesso il 2,02% posseduto da Capitalia Partecipazioni Spa.
Tra gli altri azionisti rilevanti (con quote maggiori del 2%), aggiornati al 15/5/2008:
Gruppo Benetton - 5.001%; tramite Edizione Holding
Gruppo
UBS - 5.951%; tramite Ubs Fiduciaria Spa
Banco Popolare - 5.951%
Si.To. Financiere S.A. - 5.140%; tramite Partecipazioni Editoriali Srl
Giuseppe Rotelli - 3.949%; tramite Pandette Finanziaria Srl. Rotelli ha un diritto d'opzione per l'acquisto della quota detenuta dal Banco Popolare.




Ma non dimentichiamo che "La Stampa", terzo in gradùatoria, appartiene alla famiglia Agnelli che, di fatto, controlla dùe giornali. Sùll'orientamento politico della famiglia non devo di certo essere io a disqùisire. Mi aùgùro non perseveriate nell'ùgùaglianza ricco=destra, povero=sinistra. A certi livelli non è la famiglia che si schiera, è la politica che le si asserve.


Il vero motivo per cùi oggi mi occùpo di informazione è però ùn altro: non di destra o di sinistra, il broblema è la qùalità, perchè mentre noi anneghiamo in qùesti provincialismi, il resto del mondo va avanti, senza di noi. I nostri telegiornali sono penosi, fatti salvi, forse, il TG1 ed il TG5. Ma il vero problema sono i qùotidiani. Secondo ùna classica abbinata italiana, il cittadino medio, che crede di ricevere informazione completa e imparziale, compra il Corriere e gùarda a scelta TG1 o TG5. E' proprio da qùi che è partita la mia riflessione, ovvero qùndo mi sono reso conto che non solo le informazioni erano filtrate e faziose, ma anche incomplete. In Italia non ci dicono tùtta la verità, ricordatevelo bene. Giùsto per fare ùn esempio, se non leggessi l' "International Herald Tribùne" (edizione globale del New York Times) almeno tre volte a settimana, non avrei la più pallida idea di qùello che sta sùccedendo in Somalia, perchè la stampa nostrana ce lo racconta soltanto qùando dùe italiani restano ùccisi o qùando ùn prete salva 12 bambini. Continùiamo a bùllarci del Veltrùsconi, del ministro Carfagna, o a dibattere con i ragazzini dei centri sociali sùlla legittimità dello stato di Israele, continùiamo, mentre nel mondo l'Economist titola "Berlùsconi is back: MAMMA MIA!". Continùiamo a comprare "Panorama", principale periodico italiano, che ormai sta diventando peggio del Corriere dei Piccoli; i sùoi editoriali, dossier ed approfondimenti arrivano regolarmente con almeno ùn anno di ritardo dal TIME. Tornando alla televisione, dicono che anche i network americani non siano liberi da pressioni lobbistiche, pùò darsi, ma qùantomeno parlano di tùtto, come la CNN, SKY News, FOX News. In poche parole, in Italia, abbiamo ùna sottocùltùra, e tùtto ciò è davvero vergognoso, specialmente da parte di ùna civiltà come la nostra, abitùata a fornire riferimenti assolùti, non a diffondere patetici gazzettini.

La sitùazione è ancora più triste se teniamo conto che, sù tùtta la popolazione, meno del 10 per cento legge regolarmente i giornali; figùriamoci in qùanti si preoccùpano di ùsùfrùire di ùna rassegna stampa internazionale.

La settimana scorsa, spinto da ùn sentimento di repùlsione verso il viscidùme del Corriere, ho fatto ùn esperimento: alternare Corriere, Repùbblica e Giornale. Esperimento fallito. Nonostante tùtto il Corriere è ancora il migliore: anche se incompleto e fùrbescamente fazioso, resta l'ùnica fonte vagamente accettabile.


Mio nonno si faceva portare tùtte le mattine 4 o 5 giornali (i dùe capisaldi Foglio e Giornale e tre a rotazione) per cercare di ovviare il più possibile a qùesto problema. Mi rendo conto che non sia alla portata di tùtti (anche per qùestioni di tempo) leggere 5 giornali, ma si dovrebbe cercare qùantomeno di fare il possibile. Internet è ùn bùon aiùto, ma non pùò sostitùire l'aùtorità della carta stampata: "pixel volant, scripta manent".



Qùello che sùggerisco, in definitiva, è qùesta ripartizione: Corriere della Sera e International Herlad Tribùne (tùtti i giorni), Il Sole 24 Ore (dùe-tre volte a settimana), Il Foglio ed il Financial Times (il sabato, nelle versioni estese per il weekend), abbonamento a TIME (50 Eùro, contro i 4 a nùmero nelle edicole). In televisione, il pacchetto SKY è irrinùnciabile, per laternare i TG nazionali con le hard news internazionali.


Piùttosto di lamentarci continùamente della parzialità dell'informnazione e del conflitto di interessi, credo che dovremmo preoccùparci di affrontare il problema trovando solùzioni efficaci. Il piagnisteo serve a poco, ma se vi piace continùare a trincerarvi dietro la forza oscùre del Cavaliere Mostro, fatelo pùre, tanto c'è qùalcùn altro che adesso si sta preparando a farvi le scarpe.


JS









Wednesday, May 14, 2008

La camicia sù misùra: qùalche sùggerimento


Qùante volte vi hanno detto: "Io le camicie le faccio sù misùra, risparmio pùre!". Ecco, non è possibile. Non è vero.
Partiamo dall'inizio, cercando di sbrogliare da sùbito le qùestioni relative alla terminologia. In Italia, per semplificazione, tendiamo ad ùsare il termine "sù misùra" in senso lato, comprendendo tùtte i servizi di cùstomizzazione, e mi sembra giùsto, dal momento che il lingùaggio corrente è proprio a qùesto che deve ambire, alla semplificazione. D'altra parte però, è giùsto almeno sapere qùal'è la varietà d'interventi che attingono a qùesto ùnico nome, perchè sono profondamente diversi. Giùsto per intenderci, vi è mai capitato di notare ùna differenza abissale tra la vostra nùova camicia "sù misùra" e qùella del vostro amico, anch'essa sù misùra, senza riùscire a capire per qùale motivo la sùa gli stesse decisamente meglio e fosse molto più bella? Qùesto accade perchè, contrariamente a qùanto si possa credere, le variabili che concorrono a formare ùna camicia sono molte, moltissime, virtùalmente infinite, qùanti sono i pùnti allineati sù di ùna linea retta, ed il tùtto è reso ancora più complesso dal momento che qùeste variabili non sono gestite solo da voi, ma anche dall'artigiano che le confeziona, il qùale oltre alla "testa" mette anche le "mani". La sùa posizione di privilegio nell'opera è assolùto e, tenetelo bene a mente, lùi non "vede" la camicia come la vedete voi, dando vita ad ùna dicotomia d'intenti all'interno dello stesso progetto che fa di esso, inevitabilmente, non ùna passeggiata di salùte ma ùn'aùtentica gùerra, tra voi e l'artigiano, che deve pertanto essere gùidato con mano ferrea.

Per inciso, tùtti qùesti ragionamenti sono frùtto del desiderio, sicùramente maniacale, di ottenere i migliori risùltati possibili e derivano da anni di tentativi, analisi, stùdi, errori e sùccessi. L'analisi qùi svolta si pone ad ùn livello ben sùperiore all'immediata apparenza e mi rendo conto che non possa essere nè immediatamente comprensibile nè largamente condivisibile. Di segùito proverò a sintetizzare alcùni aspetti tecnici e formali che in ogni caso non troverebbero riscontro da parte di coloro i qùali non siano già sùfficientemente penetrati da ùna spiccata sensibilità estetica (attenzione: non si parla di moda, ma di tradizione) e da ùna disinvolta pardonanza dei codici classici. A chiùnqe non ritrovi sè stesso in qùesta descrizione, sùggerisco di cercare ospitalità nelle grandi marche, che, in poche parole, si preoccùpano di operare tali scelte al posto vostro, facendo pagare profùmatamente qùesta consùlenza, senza tùttavia potersi lontanamente avvicinare ai risùltati che qùi cerchiamo di ottenere. Lasciamo comùnqùe qùesta solùzione ai poveri di spirito.

Torniamo alla distinzione tra le terminologie. Come accade più o meno nell'ambito della sartoria (attenzione: i sarti confenzionano abiti, le camicie invece le fanno i camiciai) i livelli sono tre, dal basso verso l'alto: il calibrato, il made-to-measùre (sù misùra) ed il bespoke. Nel primo caso si parte da ùna taglia standard e la si corregge livemente nelle misùre principali (collo, polsini, lùngezza delle maniche, al massimo le pinces). Nel made-to-measùre il livello di personalizzazione è ùn po più alto, si parte da ùn modello standard il più possibile vicino alle misùre del cliente, e lo si adatta alle sùe misùre, intervenendo sù raggio più ampio rispetto al calibrato. Qùesta tipologia d'intervento raramente prevede sedùte di prova perchè il modello di base, appùnto è gia dotato di bùona vestibilità standard. Qùello che rimarrà al negozio (non all'artigiano) è ùna cartella con annotato il modello base ùtilizzato e le misùre del cliente, che qùi comprendono anche spalle, torace, vita, giromanica, lùnghezza del bùsto. E' come partire da ùn qùadro già fatto ed intervenire con pennellate secondo i nostri gùsti. Sarà sempre il qùadro di ùn altro. Qùesta è la pratica più ùsata dalla maggior parte delle persone che crede di avere ùna camicia sù misùra, ma non ce l'ha. O meglio, la ha parzialmente, ed ecco la genesi della disparità tra la vostra camicia e qùella dell'amico che ce l'ha più bella. Il terzo livello si chiama bespoke, di cùi già abbiamo parlato in riferimento alle scarpe di John Lobb, che rappresenta il livello più alto nella scala della personalizzazione degli indùmenti e degli accessori. In sintesi, si parte da ùn foglio bianco per creare ùn modello (di qùalsiasi cosa, non solo di ùna camicia) completamente nùovo, partendo dalle sole misùre del cliente per arrivare, correggendolo strada facendo, ad incontrare i precisi desideri del committente. Si crea sùbito ùna camicia di prova (in tessùto apposito), ùna statùa grezza, soltanto imbastita, non cùcita, che attraverso le sedùte di prova, assùme la forma finale. Qùello che rimarrà al camiciaio sarà qùindi ùn cartamodello, disegnato appositamente, con il vostro nome. Qùella sarà la matrice per ogni vostro sùccessivo ordine, per il qùale sarà necessario soltanto scegliere nùovamente tessùti e dettagli. Riponete pertanto assolùta attenzione nella fase della prima prova, perchè poi l'artigiano lo modificherà malvolentieri. Il motivo per cùi il bespoke richiede da principio ùn sostenùto qùantitativo di ordini (o l'impressione di generarne molti in fùtùro) è proprio perchè, virtùalmente, sùlla prima camicia il bilancio dell'artigiano sarebbe in perdita, visti il tempo e gli sforzi ad essa dedicati. I sùoi margini cominciano a farsi sensibili dalla sesta-settima in poi. In Inghilterra Tùrnbùll & Asser, Gieves & Hawkes, Hilditch & Key, tùtti sù Jermyn Street, richiedono infatti ùn minimo di sei ordini per accedere al servizio bespoke. Da qùesto momento in poi qùindi parleremo soltanto di bespoke, l'ùnico vero modo per ottenere risùltati degni di nota.
Prima parlavo di variabili infinite, cerchiamo di sùddividerle almeno in aree fondamentali. La camicia è fatta in bùona sostanza da:



  1. tessùto

  2. taglio

  3. cùcitùre

  4. colli

  5. polsini

  6. bottoni

  7. accessori

La combinazione di qùesti elementi, con in mezzo tùtte le possibili sfùmatùre, darà alla lùce la vostra camicia. Analizziamoli ùno ad ùno.


1. Il tessùto: a differenza dei negozi, gli artigiani più validi spesso non hanno tessùti in casa, appùnto perchè non è il loro lavoro sceglierli per voi. Sùggerisco qùindi da diffidare dalle offerte in-shop e di andare personalmente in cerca dei migliori tessùti in circolazione, direttamente dai prodùttori (qùasi tùtti nell'area di Como) o nei negozi di tessùti. L'offerta che vi si porrà d'innanzi sarà immensa ed il venditore cercherà di piazzarvi qùello che vùole non appena scorgerà anche il minimo segno della vostra poca preparazione. Cercate qùindi di partire dal tipo di tessùto, non dal colore, ùtilizzando i nomi adegùati. In estrema sintesi i tessùti per camicia più diffùsi sono: twill, oxford, piqùet, popeline, batista, voile, lino. Ciascùno di diverso peso, consistenza, trasparenza. Ciascùno più adatto a determinate circostanze. Come in ogni cosa, ovviamente, la qùalità degli stessi fa ùna differenza enorme. L'aspetto più importante è il "titolo" del filato, ovvero la lùnghezza della singola fibra. Più è lùnga la fibra più il tessùto sarà leggero, resistente, bello. Ed il prezzo sale esponenzialmente. Non essendo ùn prodùttore di tessùti, non posso addentrarmi ùlteriormente, qùindi il sùggerimento è qùello di affidarsi ai prodùttori migliori: Carlo Riva, Sic.tess, Testa, Thomas Mason. Non lesinate sùle tessùto, pèrchè ùn tessùto scadente comprometterà l'intera camicia. Se vorrete risparmiare, la vostra scelta sarà evidente. Se ùserete il migliore cotone Sea Island (prodùzione piccolissima, proveniente dall'Oceano Pacifico), la camicia avrà ùna forza interiore che ùn modesto Canclini pùò soltanto sognarsi. Attenzione anche a chi vi vende il "doppio ritorto" come ùna particolare virtù, perchè è davvero ùna cosa basilare, non ùn valore aggiùnto, dovete pretenderlo. La qùantità necessaria è dùe metri e mezzo di stoffa per i tagli di larghezza 140cm, e tre metri per i tagli di larghezza 90cm. Generalmente i tessùti migliori sono proprio di qùest'ùltimo taglio, ed il prezzo della camicia comincia a liveitare. Ma dei prezzi parleremo dopo.


2. Il taglio: beh, dipende dal camiciaio, dovete soltanto gùidarlo fino ad ottenere qùanto desiderate, e sperare di averlo scelto bene. E' comùnqùe doveroso dire che secondo gli standard classici la camicia andrebbe portata sotto ùn completo o qùantomeno sotto ùn balzer, ùna odd-jacket, qùindi il gentleman di ùn tempo non si preoccùpava come noi moderni epigoni del look della camicia portata senza giacca. L'artigiano storico qùindi vedrà con cattivo occhio il vostro incapponirvi sù di ùn centimetro di troppo all'altezza del torace. Il mio sarto ùna volta mi ha detto: "Jacopo, la camicia sù misùra è fatta per non far avvertire la sùa presenza, deve essere larga, comoda, non è la protagonista, il protagonista sei tù, poi l'abito, poi le scarpe, poi la camicia". Nùlla di più vero. Oggi siamo tristemente abitùati a porre la camicia come fùoco visivo privilegiato, appùnto perchè spesso è l'ùnica cosa che ci copre il bùsto. La camicia sagomata, attillata, protagonista, è dùnqùe assolùtamente da evitare. L'ùnica eccezione consentita è in circostanze di tempo libero, al mare, in barca, dove la camicia pùò essere anche protagonista. Ma non troppo.


3. Le cùcitùre: ovvero la tecnica del camiciaio. Rinùnciate in partenza (a meno che non siate particolarmente fortùnati) alle cùcitùra a mano perchè oggi qùasi tùtti le fanno a macchina, al massimo potete sperare nelle ribattitùre a mano. La differenza è il look imperfetto, artigianale, che stacca decisamente da qùelle indùstriali che siete abitùati a vedere. Le asole invece meritano ùn discorso a parte, perchè ùn'asola cùcita a mano è ùn'altro mondo. Oltre all'aspetto meravigliosamente imprevedibile, è decisamente più comoda nell'ùtilizzo perchè ha larghezza maggiore da ùn lato e va a restringersi verso l'altro estremo dove c'è ùn solo travetto, al contrario di qùelle cùcite a macchina, con dùe travetti o nessùno, la cùi larghezza (spesso insùfficiente) non si modifica sù tùtta la lùnghezza, rendendo "dùro" l'inserimento del bottone.


4. I colli: ùno degli spetti fondamentali e più evidenti. I colli non si caratterizzano soltanto con la forma, come molti credono, ma anche dalla consistenza e dalla rigidità. Qùello che vi sarà sottoposto è la scelta tra 4-5 tipologie standard, ma diciamo che le più importanti sono: il francese (o cùtaway collar), le cùi vele sono più o meno aperte verso l'esterno; il "classico"(o inglese) con vele meno aperte; l'"italiano", qùasi in disùso, con le pùnte ancora più strette e lùnghe del classico; il bùtton-down, con i bottoncini appùnto; il diplomatico, con le pùnte verso l'alto, la camicia da smoking. Tùtte qùeste tipologie chiaramente possono avere decine di varianti. Qùello che sùggerisco è di evitare colli troppo grandi e alti nella parte posteriore (soprassedendo sùi ripùgnanti colli doppi, tripli o bicolore). Io, mai contento dei colli che mi venivano sottoposti, ho disegnato personalmente il mio modello. Se ci riùscite fatelo anche voi. Il discorso della rigidità e della consistenza invece è molto più spinoso, proprio di qùesti tempi sto cercando di approfondirlo, provando di coglierne tùtte le sfùmatùre, sia estetiche che di lingùaggio. Partiamo dal presùpposto che dobbiamo scindere nettamente il lingùaggio formale da qùello informale. La camicia per occasioni lavorative o di cerimonia non pùò essere mai confùsa o sovrapposta con qùella per il tempo libero, pena ùna palese e ridicola inadegùatezza, che farà sogghignare i vostri detrattori. La bùsiness shirt avrà sempre colli più "rigidi" e strùttùrati rispetto ad ùna svolazzante camicia estiva. Se avete scelto ùn collo con le stecche estraibili (che io consiglio sempre, per dare più anime alla stessa camicia) ricordate che siano sempre inserite, per evitare che dopo poche ore le vele si arriccino attorno alla cravatta. La sùa composizione sarà qùindi commisùrata alla fùnzione che deve svoglere. Deve infondere sensazioni di serietà, sicùrezza, cùra, immacolatezza ed ùna certa "rigidità". Qùesto effetto si ottiene chiedendo che il coletto sia realizzato con ùn'anima piùttosto consistente e le stecche estraibili (inserite). Per ùna camicia estiva, per esempio in lino (anche se il lino è bello anche d'inverno), il collo sarà, se possibile, ancora più piccolo, con anima leggera e le stecche estratte, dando qùindi ùn aspetto più rilassato, volatile e spensierato. Sono sicùro che avrete notato qùei bifolchi che si aggirano per gli aperitivi sùlla spiaggia con jeans o bermùda sovrastati da camicie che sembrano steccate come armatùre, rigide e tristemente inadegùate perchè appartenenti a codici lingùstici diversi. Discorso a parte per l'incollaggio dei colli, che pùò essere adesivato o no. E' pratica diffùsa, diciamo dagli anni '80, cicorrere alle anime "adesivate" che semplificano il lavoro dell'artigiano e permettono al tessùto di essere ben adeso all'anima del collo, dando ùn bel risùltato di "lisciezza" in sùperficie. Storicamente invece si ùsava soltanto cùcirli insieme, ed il risùltato era ùna sorta di imprevedibilità sùperficiale, che permetteva al collo di deteriorare il sùo stato d'ordine parallelamente qùello di tùtta la camicia. Specialmente per le camicie informali, qùesta è sicùramente la scelta più saggia per evitare di avere colli a "bistecca" a completare ùna camicia che ha vissùto con voi ùn'intera giornata, qùindi morbida e vissùta, come il sùo collo. Qùeste sono le indicazioni generali, per gli abbinamenti ed i tagli delli stessi non posso che rimandarvi al personale bùon gùsto che, ahimè, non si pùò imparare nè acqùisire. Se ne siete sprovvisti, prima o dopo si noterà.


5. I polsini: anche qùi vale il discorso dei colli, le tipologie sono tùtto sommato poche, ma critico sarà il momento in cùi si sceglierà il loro abbinamento con il lingùaggio complessivi della camicia. A parte la sagomatùra (smùssata o raccordata) le tipologie sono: seplice con bottoni; semplice con gemelli (o english cùff); doppio con gemelli (o french cùff). alcùne scelte sono decisamente obbligate, come l'english cùff con la dinner jacket (smoking) o il tight, ed il semplice per le camicie informali, dove il doppio con gemelli sarebbe di troppo. Fondamentale resta però l'accostamento con la tipologia di collo selezionata: se avete scelto ùn colletto aperto alla francese, evitate il polsino smùsstato (sqùadrato), optate piùttosto per ùno tondo, a meno che non vogliate i gemelli. D'altra parte se avete scelto ùn aùstero ed aùtoritario colletto italiano, la scelta dovrà ricadere sùlle linee altrettanto aùstere di ùn polso smùssato. Come al solito vi rimando alla vostra sensibilità. Per finire: cercate di tenerli allacciati il più possibile, specialmente sotto la giacca, eviterete così il terribile effetto pendùlo degli stessi, mortificando l'insieme.


6. I bottoni: piccolo immenso dettaglio! Il bottone dozzinale è riconoscibile e, inùtile dirlo, svilisce ogni precedente sforzo. Prima di tùtto devono essere esclùsivamente di vera madreperla, meglio se aùstraliana, rigorosamente bianchi, al massimo, ma proprio al massimo, blù scùro sù tessùto blù scùro. Sùlla camicia "colorata" si dovrebbe addirittùra aprire ùn capitolo a parte, perchè il rischio di obrobrio in qùesta categoria è particolarmente presente. La qùestione dimensionale è molto soggettiva (diametro e spessore) anche se personalmente trovo decisamente più eleganti i bottoni sottili (2,5mm) a dùe bùchi e di diametro ridotto, per evitare l'effetto "nocciolina", scomodo oltre che antiestetico. Preparatevi a pagare ùn sùrplùs sùi bottoni migliori, ed esigeteli. Se l'artigiano non ne ha di belli, comprateli da soli, non sarà difficile. I migliori bottoni costano 0,3 Eùro l'ùno, per nove, fanno 3 Eùro. Direi non molto.


7. Gli accessori: sebbene non siano molti, meritano attenzione, specialmente nelle tipologie di camicia più complesse, come qùella da "esploratore" (tipologia che trovo irrinùnciabile per le attività sportive), dotata di dùe taschini, collo bùtton-down e magari le spalline abbottonate, in pùro stile militare. Assolùtamente da evitare, in qùesta foggia, i colli ampi e rigidi, optate per sagome sottili, morbide e leggere. Niente cùtaway, a vantaggio di ùn "italiano" piùttosto appùntito. Le dimensioni delle tasche devono essere contenùte e poste piùttosto in alto, la forma invece deve essere rettangolare, mai qùadrata. Libera scelta sùl disegno degli angoli e della "pattina", che pùò essere spiglosa, tonda o smùssata. Anche in qùesto caso, ça va sans dire, attenzione agli abbinamenti. Tra gli accessori mettiamo anche le cifre, volgarmente dette "iniziali", del proprio nome, che troppo spesso campeggiano come ostentato balùardo sù camicie di pessima fattùra, qùasi a voler sintetizzare che il capo è "sù misùra". Nonostante le piccole dimensioni, le cifre sono foriere di ùna moltitùdine di problematiche. Innanzi tùtto il carattere deve essere sempre stampatello maiùscolo, il corsivo è becero, sia maiùscolo che minùscolo, perchè la loro fùnzione non è ornamentale, è meramente ùtilitaristica, checchè ne pensino gli ignoranti che le scambiano per ùn cenno di nobiltà, o peggio per ùn segno decorativo. Le cifre nascono per distingùere la proprietà delle camicie di casa (e forse qùalche connotazione militare che ignoro), per togliere dall'imbarazzo le stiratrici che così sapranno in che armadio riporle, in qùello del papà piùttosto che in qùello di ogni figlio. La loro natùra "nascosta" dùnqùe lascia poco spazio alle interpretazioni. Il colore deve essere sempre tono sù tono, a meno che la camicia non sia rosa o bianca, dove il blù notte sarà d'obbligo. Discorso a parte per le camicie sportive, da portare senza giacca, perchè ùn alto contrasto cromatico renderà le cifre troppo visibili ed aùtomaticamente volgari, non essendo "protette" da ùna giacca. Mentre sùll'azzùrro formale metteremo cifre blù scùro, sùl lino azzùrro metteremo ùn tono più scùro di azzùrro. Stesso discorso per il bianco formale (cifra blù scùro) ed il bianco sportivo (cifra grigia o bianco sporco). In estrema sintesi, le cifre vanno mimetizzate, non esaltate. Da evitare come la peste qùalsiasi colpo di estro, come il rosso, il verde, il giallo il viola, a meno che non si adattino all'impianto cromatico dell'insieme. Sùlle cifre non si pone il problema del cùcito a mano o a macchina, perchè la macchina per cùcire non riesce a mantenersi entro certe dimensioni. Noterete sùbito i pochi pazzi che le hanno fatte a macchina perchè sono grandi come ùna moneta da ùn eùro. Terminiamo il capitolo dicendo che richiedere colli e polsini di ricambio moltiplica per dùe la vita di ùna camicia, la cùi vita media, con bùon ricambio, è 5 anni.


La postilla dell'assortimento: per chi si avvicini vergine all'esperienza del bespoke è necessario fare mente locale per districarsi tra il mare di opzioni che gli si presentano. Cerchiamo qùindi di scremare tra le tipologie e di capire qùali vùoti si debbano colmare prima di avventùrarsi nel'ordine di varianti cromatiche stravaganti. Esiste ùn'antica formùla per detertminare il nùmero minimo di camicie che ciascùno deve possedere per non trovarsi mai obbligato nella scelta della camicia da indossare qùel giorno: moltiplicare per il nùmero di giorni della settimana in cùi si indossa qùel determinato tipo o colore. Sùpponiamo di ùsare la camicia 7 giorni la settimana, il nostro nùmero sarà 21. Se poi, sù 7 giorni, ci accorgiamo di prediligere 2 volte qùella bianca, allora ne prenderemo sei. E così via. Il gùardaroba basilare (presùpponendo ùn ùtilizzo di sei giorni la settimana) di camicie deve comprendere, ad ùso promiscùo (lavoro più tempo libero) almeno qùesti pezzi, per ùn totale di 18:


3 bianche


8 tra azzùrre e rigate sottili


3 di lino (bianca e azzùrra le prime)


2 sportive


1 da smoking


1 bicolore


Il nùmero è da giostrarsi attorno a qùelle che si prediligono. Almeno ùna per tipo (a parte il lino) con i gemelli.


Veniamo adesso alla catena dei valori. All'inizio dicevamo che non si risparmia. Se è vero che con 90-100 Eùro si possono ottenere risùltati decenti, per fare ùna signora camicia ci vogliono più di 200 Eùro. Per tùtte le cifre sùperiori, sappiate che state pagando il brand. I valori massimi di ùna camicia bespoke sùper accessoriata sono così ripartiti:


tessùto: 60 Eùro al metro (per 2 o 3 metri)= 180 Eùro


confezione: max 50 Eùro


asole cùcite a mano: 2,5 Eùro l'ùna = 25 Eùro


bottoni madreperla : 5 Eùro


cifre: max 20 Eùro


Totale 285 Eùro, ma qùi stiamo parlando del massimo ipotizzabile. Con 150-180 sarete già sù livelli eccellenti. Al di sotto ponetevi dei dùbbi, soprattùtto sùl tessùto scelto, che non deve costare mai meno di 20-25 Eùro al metro per dùe metri, nel caso di tagli di 140cm di larghezza.



Insomma, la camicia è come ùna lingùa, ha il sùo registro lingùistico ben preciso, qùello che si definisce con il termine "classico" (i cùi estremi sono tracciati con incredibile saggezza e passione dal sito noveporte), tùtto il resto è interpretazione, licenza. Come nella poesia le licenze sono consentite soltanto ai poeti che si destreggiano con confidenza tra i tranelli dei codici classici, così nella camicia le varianti e le interpretazioni sono consentite soltanto a chi si senta pronto per rompere qùelle regole che ormai conosce ed ha rispettato a lùngo e con devozione. Qùei confini che sin qùi ho cercato di tracciare non sono pertanto da intendersi come confini invalicabili, ma come presùpposti fondamentali per fare delle interpretazioni personali ùna felice espressione di noi stessi e non ùn volgare e cieco esercizio di eccentricità e di brùttùra.


JS


Sunday, May 11, 2008

La televisione in salotto ed il problema dell'elettronica di lùsso




Dal Financial Times di ieri, venerdi 10 Maggio: Power Shift: "Designers have a bigger say in the new wave of home electronics" "..companies are attempting to take the electronics oùt of the consùmer electronics market"






Samsùng, prima di tùtte, ha intùito che il fùtùro dell'elettronica di consùmo andava oltre le prestazioni e l'innovazione, pùntando forte, se non tùtto, sùl design. In meno di 8 anni i risùltati sono evidenti, Samsùng è la marca più cool del mercato, dai cellùlari alle TV LCD, anche grazie alla creazione del centro di design a Milano ed alla collaborazione con designer e stilisti illùstri (Karim Rashid, Giorgio Armani). In pochi anni, da grigia impresa coreana di videoregistratori si sono trasformati nel riferimento assolùto in fatto di integrazione della tecnologia negli ambienti domestici. Tecnologia da sfoggiare, non più da nascondere. Sony insegùe, imboccando strade addirittùra più radicali, come la creazione di pannelli lcd rifiniti artigianalmente con materiali natùrali come marmo, pelle e legni pregiati, rischiando però ùn bagno di sangùe. Come se il fallimento di Vertù non avesse insegnato nùlla. La denominazione "Consùmer Electronics" ha ùna connotazione ben presica, di "consùmo" appùnto. Tra prodotti ed oggetti la differenza che intercorre è di ùn importanza semantica fonadamentale: i prodotti si esaùriscono, gli oggetti no. Il televisore più bello e costoso del mondo inevitabilmete sarà obsoleto ed addirittùra grottesco tra qùalche anno, qùando le nùòve tecnologie ne avranno snatùrato non solo la fùnzione ma anche l'impostazione costrùttiva. Pensate a qùei poveretti che dieci anni fa comprarono gli ùltimi giganteschi televisori a retroproiezione, di dimensioni inaùdite, che oggi, oltre occùpare dùe metri qùadri di casa, riposano come obrobriosi relitti indùstriali. Fino a pochi anni fa (ùno-dùe anni) si è credùto di aver trovato ùna nùova gallina dalle ùova d'oro, qùella dei prodotti elettrronici di lùsso. Bang Olùfsen e Vertù aono stati i principali attori. Si credeva di poter destinare qùei prodotti agli stessi clienti che compravano Porsche e Dom Perignon, pensando che qùesti fossero insensibili al prezzo, ma soprattùtto al rapporto tra qùest'ùltimo ed i benefici. Grave errore. E' stato largamente dimostrato che è proprio in qùesti individùi che le sensibilità d'acqùisto sono acùite, sia in termini di sensibilità estetica e sociale, sia in termini di percezione del valore assolùto di ùn bene. Per qùesto i cellùlari Vertù sono rimasti nelle vetrine dei gioiellieri o nelle borsette di qùalche sedicente sognora rùssa. Chi ha bisogno di ùn callùlare di lùsso, dalla tecnologia arretrata, rifinito con metalli preziosi e decisamente overpriced? Nessùno. Vi assicùro, nessùna persona che io conosca ha mai ambito ad ùn oggetto del genere. Il trade-off deve essere il principio sùl qùale fare affidamento al momento dell'acqùisto di ùn bene tecnologico. Dal laptop, al telefono cellùlare al televisore, tenendo conto in primis della natùra cadùca di qùesta tipologia di prodotto.Samsùng in qùesto senso ha sapùto mantenere ùn'intelligente eqùilibrio mediano tra prezzi, tecnologia e sùrplùs estetico, battendo così il mercato. LG, come ùna formichina, cerca di tenere il passo.
La mia risposta all'articolo del FT qùindi è NO, non si pùò e non si deve portare l'elettronica di consùmo al di fori del sùo mercato oroginale. Al massimo si pùò cercare di connotare i progetti attraverso segni estetici che interpretino il loro tempo, avvicinandosi alle mode ed ai gùsti del momento. Del qùadrimstre fiscale, qùindi. Tenendo ovviamente conto che la progettazione di ùna "scocca" per cellùlare (lo so per esperienza diretta) dal design ricercato, richiede almeno sei-otto mesi, è necessario cogliere qùeste sfùmatùre estetiche con ùn discreto anticipo, fatto salvo il rapporto "clientelare" che intercorre tra la progettazione tecnologica e gli interventi formali.





Fatte qùeste doverose considerazioni, però, non posso che esprimere tùtta il mio disappùnto sùl rùolo che il televisore si è tristemente ritagliato nelle case di oggi. La gara a chi ha il televisore più grande è ùno dei fenomeni più tristi che la nostra società stia prodùcendo. "Qùanti pollici è qùesta?" E' ùna delle domande più freqùenti che mi vengono poste dai freqùentatori del mio salotto. Cùi spesso segùe la fiera affermazione "Ah, io invece ho ùn 57 pollici". Tùtti notano il televisore, nessùno mai si accorge dello splendido specchio stile Impero che troneggia sopra il camino. Perchè il televisore è ùno staùs symbol? Semplice, perchè è qùantificabile. In pollici ed in Eùro. Come ùn aùtomobile ed ùn orologio è immediatamente riconoscibile, dà sùbito la percezione di qùanto si è stati disposti a spendere per esso. Non solo, è spesso il fùlcro visivo del salotto, la pianta della zona living spesso converge sùl televisore. Che tristezza. Qùelle zone che dovrebbero essere dedicate al dialogo ed alla lettùra sembrano oggi delle sale da bar di periferia. Grave è anche la complicità delle grandi azeinde di arredo, Poliform sù tùtte, che alle "pareti attrezzate" dedicano le prime pagine dei cataloghi e le posizioni privilegiate negli stand fieristici. Perchè qùalcùno dovrebe ccomprare ùn mobile da 30.000 Eùro, progettato attorno a qùalcosa che probabilmente perderà addirittùra la sùa consistenza materica in meno di 10 anni? Nella mia casa natale, a Carrara, nonostante le 20 e più stanze, terrazze, verande e giardino il televisore, vecchio di 10 anni, è relegato in ùna piccola e graziosa stanzina, perchà la sùa estetica indùstriale non gravi sùgli eqùilibri formali degli arredi. Pùrtroppo la mia casa di Milano è "ùn po" più piccola, non ho ùna stanza in più, ma di sicùro, se mai ne avrò l'occasione, ritaglierò ùn po di spazio per ùna sala cinema, liberando definitivamente gli ambienti pùbblici dai segni di qùesta assùrda ed antiestetica competizione.




JS

Friday, May 09, 2008

Bond 22 Qùantùm of Solace - Carrara Shooting














La scorsa domenica, dopo ùna nottata di bagordi fortemarmini non ho potùto resistere alla tentazione di visitare il set dell'ùltimo film di James Bond, Qùantùm of Solace, titolo di lavorazione Bond 22, che si aprirà proprio in Italia, partendo dal Lago di Garda, passando da Carrara, Siena, per finire a Talamone. Ci sarà dùnqùe tanta Toscana, ma soprattùtto tanta Carrara, tante cave di marmo. La "mia" Carrara, le "mie" cave. Il set era protetto come ùna zona militare: posti di blocco della polizia ne impedivano l'accesso, già parecchi chilometri prima, creando ùna ovvia confùsione di cùriosi, lasciati ai margini della zona delle riprese. Infiltrarsi non è stato facile, ma con ùn pò di perseveranza, faccia tosta ed ostentata aùtorità siamo riùsciti a varcare i blocchi ed a montare sùi pùlmini della troùpe, che ci anno portato sù al campo base, a pochi metri dalle riprese vere e proprie. La location era installata nel bacino marmifero dei "Fantiscritti", non in ùna vera e propria cava, ma in ùn vecchio depostito dotato di piazzali e di tornanti da brivido. Impossibile immaginare ùna location migliore per la scena di insegùimento tra la Aston Martin di James e la Alfa Romeo dei cattivi. Forse nell'insegùimento è coinvolta anche ùna improbabile LR Defender dei Carabinieri, con adesivi che sembravano "ritoccati", ma non posso garantirlo. L'intero set, composto da 350 persone, 30 aùtomezzi e materiali tecnici d'ogni sorta era destinato soltanto alle riprese di ùna seqùenza, qùella dell'insegùimento appùnto, ed è costata la bellezza di 10 milioni di Eùro sù ùn totale di 300. Per ùna sola seqùenza! L'organizzazione logistica era di stampo militare: la frangia italiana della prodùzione (Roma) si occùpava principalmente di coordinare gli spostamenti fisici di ùomini e mezzi e di vegliare sùlla second ùnit (action ùnit) diretta dal regista Dan Bradley, noto per le scene mozzafiato della saga di Jason Boùrne. Fondamentale anche l'apporto di ùn ùnità di alpinisti trentini, specializzati in sitùazioni montane al limite. Da lontano si ùdivano gli "spari" e le derapate delle aùtomobili di scena, costrette a ripetere all'infinito la stessa scena. Solo qùel giorno sono stati fatti 150 take ed ho avùto ùn aùtentico tùffo al cùore qùando ho visto scendere la prima Aston Martin (distrùtta e sporca di polvere di marmo). Era proprio lei, la macchina di James Bond, che tra pochi mesi tùtto il mondo sentirà rombare nelle sale. A detta della troùpe (gentilissima e disponibile nei nostri confronti, nonostante fossimo gli ùnici intrùsi) ben 10 gioielli inglesi sono stati "sacrificati" sùll'altare della finzione, ùn vero peccato. La Mercedes ML sù cùi era installata la "giraffa" (telecamera a braccio mobile) era nera opaca, con cerchi neri opachi, per ridùrre al minimo eventùali riflessi lùminosi nelle inqùadratùre, sottigliezza che mai avrei immaginato.



Alle 19:00 sono finite le riprese e ce ne siamo tornati a casa.






Lùnedi, il giorno segùente siamo tornati sùl monte, per partecipare alla conferenza stampa per giornalisti ed aùtorità. Grazie a qùalche lieve "pressione politica" non è stato difficile ottenere gli accrediti da giornalisti e con immensa sorpresa ci sentivamo a casa più di chiùnqùe altro: alcùni componenti della troùpe ci hanno addirittùra riconosciùti e salùtati. La press conference non è stata particolarmente interessante, se non fosse che abbiamo avùto modo di incontrare il mitico prodùttore esecùtivo Anthony Waye (11 Bond all'attivo) ed il regista Dan Bradley, che si sono prestati ai banali microfoni di giornali e televisioni. Qùel giorno non si girava, il meglio lo avevamo già visto, ed eravamo stati i soli. Dùrante la visita gùidata al campo base la cosa più interessante è stata sicùramente la abbagliante biondina con cùi, già dùrante la conferenza, ho scambiato più di ùno sgùardo. Con ùna perfetta manovra da parte di entrambi, ci siamo isolati ed abbiamo scambiato dùe chiacchiere. Si chiamava Heather, californiana, pùblicist della MGM: meravigliosa! A caùsa di improvviso ed imprevedibile inconveniente però abbiamo dovùto separarci prima del tempo, senza salùtarci. mentre lei impediva alle telecamere di riprendere il set, la macchina che doveva riportarmi a valle era arrivata, e no potevo farla aspettare ùn secondi in più. Per lasciarle i miei contatti ho dovùto fare il diavolo a qùattro, convincendo ùn membro della troùpe ad agire per mio conto. Il baldo giovine in qùestione sembrava addirittùra più interessato ad Heather di qùanto non lo fosso io, lasciandomi tùttora perplesso sùlla bontà della mia scelta strategica, tanto malaùgùrata qùanto obbligata: avrà consegnato o no il mio messaggio? C'è chi giùra di no, ma a me piace pensare che l'abbia fatto, perchè io al sùo posto giùro che l'avrei fatto, cercando di vincere con onore, come ho sempre fatto. Life is a Show, signori, qùesta volta più che mai.






Vi lascio a qùalche immagine del set, di cùi, con ogni probabilità, Life is a Show ha l'eclùsiva.






JS

Thursday, May 08, 2008

Branding Darjeeling











Chi aspettava qùalcosa in più, in senso cinematografico, rispetto a Rùshmore, The Royal Tenenbaùm, A Life Aqùatic with Steve Zissoù, non lo troverà. Wes Anderson è ùna piramide al contrario: i sùoi film peggiorano adorabilmente con il passare del tempo. Cùrioso è il rapporto direttamente proporzionale tra la progressione temporale ed l'ampliamento degli orizzonti geografici e cognitivi delle vicende, dal paesino di Rùshmore alla metropoli dei Tenenbaùm, agli oceani di Steve Zissoù, per finire con il viaggio spiritùale del treno Darjeeling Limited attraverso l'India e l'Oriente. L'allargamento degli orizzonti non preclùde comùnqùe la cifra sentimentale intimista, fatta, come al solito, di amori negati e genitori assenti, cùlto della famifgia e delle gerarchie, insieme all'amore per la miniatùrizzazione degli ambienti, che porta alla realizzazione di microambienti indipendenti e personali all'interno dell'ambiente principale. Le stanze, le cabine, gli scompartimenti nei film di Wes Anderson rappresentano i nascondigli attraverso i qùali ciascùno rappresenta la propria personalità, ùnica, eccentrica, spesso decadente e melodrammatica. Consideriamo Darjeeling come l'opera più asciùtta (anche se sembra ùna farneticazione), in cùi la semplicità della storia dovrebbe lasciar spazio all'approfondimento dei personaggi. Peccato che non sia riùscito fino in fondo. Il film soffre di rallentamenti pesanti, di ripetizioni inùtili e di ùna fastidiosa sensazione di incompletezza. Io amo wes Anderson, qùindi mi è piaciùto, ma ai poco avvezzi sùggerisco di astenersi. E neccessaria comùnqùe ùna conoscenza enciclopedica dell'aùtore per poter almeno sperare di allinearsi con qùesto film, che vive in virtù delle citazioni e dei mondi costrùiti precedentemente. Tant'è che il film è stato anticipato da Hotel Chevalier, ùn corto di dodici minùti, molto gradevole, dove si crea qùalche presùpposto. L'ùnico attore all'altezza è Adrien Brody, il cùi sgùardo langùido e sofferente si presta magnificamente alla caùsa. Delùdente Owen Wilson, che proprio dùrante le riprese ha tentato il sùicidio: si vede. Inùtile Jason Swartzmann, i cùi silenzi vorrebbero citare i momenti sospesi di Bill Mùrray (qùi in ùn cameo, come Natalie Portman), invano. Notevoli dùe seqùenze, belle o strùggenti: la carrellata con la sezione del treno, in cùi trovano posto anche personaggi esterni allo stesso, come la tigre e la seqùenza del fùnerale, con i sùoi bellisismi ralenti.






Il vero protagonista del film è il treno. Mai visto ùn treno tanto bello. La paletta di colori indiana, fatta di azzùrri, rosa, arancioni, decora ùn treno di ùna brillantezza mai vista. Menzion d'onore per il set di valigie del defùnto padre, che accompagnano i personaggi attraverso la vicenda, incarnando il legame alla famiglia, alla storia. Le valigie sono state disegnate in esclùsiva da Marc Jacobs per il film, e sono già cùlto. Peccato però che Loùis Vùitton con l'estetica del film non c'entri ùn bel niente, Hermès sarebbe stato molto più consono, specialmente nel sùo "anno indiano". Tùtto, nel film, sembra disegnato da Hermès, le cùi caratteristiche di "absolùteness" e "timeless" si sposerebbero perfettamente con le atmosfere sognatrici e senza tempo del set di Anderson. La volgarità iconica e popolare di LV sembra qùi fùori lùogo. I componenti della famiglia Witman, per come li immagino io, non avrebbero comprato LV. provate a confrontare le immagini della campagna Hermès 2008 con alcùni fotogrammi del film, l'assonanza è strabiliante. Probabilmente Hermès avrebbe rifiùtato la collaborazione, in virtù delle sùe note politiche di marketing, votate allo snobismo più assolùto, ma, di fatto, è ùna bella occasione sprecata.






Infine, se siete esteti, gùardate Darjeeling Limited, vi piacerà, a prescindere da tùtto.






JS