Saturday, January 31, 2009

Business of Green - by Andrea Maggiani - Is every drop green?


Nel 2005 mi trovavo in Australia e durante un mio consueto giro per Oxford street a Sydney sono entrato da Wok on In, catena molto alla moda di cibo asiatico take away di Sydney e, insieme alla mia solita ordinazione, noodles con verdure e gamberi, la giovane cameriera mi ha portato una bottiglia d‘acqua proveniente dalle Fiji; certo, in Australia la cosa ci poteva anche stare (alla fine sono solo 4-5 ore di aereo!), ma poi quando l’ho vista anni dopo al supermercato PAM in viale Sabotino a Milano sono rimasto completamente allibito. Ma chi può essere così matto da comprare una bottiglietta che contiene acqua proveniente dall’altro capo del mondo? La risposta non la so, ma se arriva sugli scaffali di un piccolo supermarket di Milano vuol dire che qualcuno che si mangia uno spaghetto al pomodoro sorseggiando l’acqua delle Fiji ci sarà di sicuro.
Ecco, questo è l’esempio che qualcosa in questo mondo globale non va, che ci sono cose che vanno cambiate, perché l’acqua non può venire da un isola del pacifico, quando il nostro paese ha centinaia di marchi di ottima qualità.
La Fiji Water per altro è un’azienda che cerca concretamente di ridurre il suo impatto sull’ambiente attraverso un programma ambizioso (per approfondimenti visita il sito http://www.fijigreen.com/) volto a ridurre le emissioni, migliorare il packaging e le fasi d’imbottigliamento, oltre a cercare soluzioni nuove per la logistica e i trasporti.
Un commitment così forte per l’ambiente è vitale per un’azienda che vende un prodotto ad altissimo impatto sull’ambiente e che basa la sua offerta sulla carica emozionale dell’acqua purissima di un paradiso esotico.
Questo spiega perché la comunicazione di http://www.fijigreen.com/ sia veramente accattivante e semplice, con un layout essenziale, divertente e immediato, capace di attrarre anche i meno sensibili.

Lo sforzo è senza dubbio meritevole di nota, ma rimane comunque inconcepibile un prodotto di questo tipo, anche se, come dicono loro, nel 2011 saranno carbon-negative…!!!!

Andrea Maggiani



Tuesday, January 27, 2009

The Lexus and the Olive Tree: quanto tempo è passato.


Preface: considerazioni di getto a proposito delle prime somme dell'epoca della Globalizazione, degli scenari futuri, delle minacce e delle opportunità. Le Nuove Elite globali ed il loro impatto.



La prima volta che dovetti confrontarmi seriamente con la globalizzazione fu durante il primo anno di liceo, quando la mia insegnante di italiano assegnò come tema d'esame qualcosa del tipo: "La Globalizzazione, breve analisi ed opinioni personali". Ricordo soltanto che scrissi qualcosa a proposito degli spaghetti mangiati a Taipei e dei Big Mac in Africa. Correva l'anno 1994 e, a posteriori, posso dire che la mia professoressa non era affatto "fuori dal mondo" come era lecito immaginarsi. Nel 1994 non avevo un telefono cellulare, Internet era un lentissimo embrione e le informazioni che ricevevo passavano attraverso libri di testo, quotidiani, riviste, ma soprattutto attraverso la parola delle persone che consideravo autorevoli. Il mondo in cui vivevo era circondato da barriere fortissime che, di fatto, lasciavano isolate le persone che non potevano o non volevano muoversi dalla loro città. E dire che io, fin da molto piccolo, ero abituato a viaggiare molto, lontano, e da solo. A quei tempi il viaggio rappresentava qulacosa di epico, perché una volta di ritorno a casa, i miei racconti su quello che avevo fatto e visto erano di un'autorità sacrosanta: c'ero stato, avevo visto, potevo raccontare, nessuno poteva mettere in dubbio i miei racconti e le mie impressioni, a meno che anche lui non avesse fatto personalmente la stessa esperienza. Qualsiasi cosa non fosse sotto gli occhi rappresentava un punto interrogativo, un grande scoglio sormontabil soltantp con lo spostamento fisico. Fino a quel periodo mio padre e la sua famiglia costruivano navi e ricordo con quale ammirazione e senso di impotenza pensavo al suo lavoro. La cosa che più mi impressionava non era tanto la complessità industriale nella costruzione di opere ignegneristiche così grandi, il coordinamnto di centinania di operai, le difficoltà delle architetture finaziarie, no, quello che veramente mi affascinava era la dinamica attraverso la quale, da una piccola città come La Spezia, il loro cantiere potesse individuare, o essere individuato da armatori svedesi, governi sudamericani, marine militari asiatiche. Credevo che fossero dei maghi, così potenti da accedere ad informazioni, persone, luoghi, che agli altri erano preclusi. Era l'epoca del fax (tutt'oggi a mio padre piace ancora dire: "..mandiamogli un fax.."), che poi non era che un telefono che mandava immagini, uno strumento 1-to-1, che permetteva di comunicare soltanto tra due estremi. Le informazioni, la conoscenza, le persone, i luoghi, dovevi andarteli a cercare e prendere personalmente, si poteva fare affidamento soltanto sul proprio networking. Possedere una buona rete di conoscenze non era un lusso, o un plus come oggi, era un dovere, un obbligo imprescindibile se non si voleva restare estromessi dal mondo degli affari. A meno che non si possedessero miniere d'oro (o di marmo) che da sole richiamavano l'attenzione su di sé. La mobilità sociale passava attraverso il tramandamento di informazioni da un individuo all'altro, quindi era molto più lenta e difficoltosa di quanto non lo sia oggi.

Arriviamo così al centro della discussione: quell'epoca era il passaggio tra le due grandi ere dal dopoguerra ad oggi, ovvero il passaggio dal sistema della "Guerra Fredda" a quello della "Globalizzazione", e la cosa più stupefacente è che parliamo soltanto di quindici anni fa. Quindici anni che hanno cambiatio il mondo. Come teorizza Thomas Friedman in "The Lexus and the Olive Tree", la differenza essenziale tra le due fasi è lo stravolgimento delle forze in gioco. Nell'immobilismo della guera fredda le relazione erano stabilite tra Nazione e Nazione, nella Globalizzazione si sono aggiunti i mercati finanziari, le aziende multinazionali,ma soprattutto gli individui singoli, che hanno ptuto godere dell'abbattimento delle barriere che sono cadute insieme al muro di Berlino, creando un nuovo, grande, piatto, mondo lieralizzato in cui ciascuno ha avuto la possibilità di far sentire la sua voce ed avere un effetto reale sull'economia e sulla politica globale. Le persone che vivevano e lavoravano in quel vecchio sistema, oggi per me sono eroi, eroi di un tempo che non c'è più.

Oggi, nella start-up che sto seguendo, quando vaglio ipotesi su fornitori, risorse, strategie, non pongo minimamente limite ai confni della mia ricerca. Dispongo (e disponiamo tutti) di un flusso costante di informazioni che mi permettono di sapere già cosa e dove voglio andare a prenderlo, poco importa se si trova a Tokyo o in Veneto. So che in qualsiasi momento posso accedere a qualsiasi tipo di informazioni di cui abbia veramente bisogno, tramite networking, si, ma anche attraverso la Rete. E' inutile che versi altro inchiostro a proposito della "rivoluzione di internet" di cui tanto, troppo si è discusso; preferisco porre l'accento su una delle conseguenze pricipali di tale rivoluzione: il "sourcing". Internet non è una fonte di informazione, è un infinito numero di sorgenti, e la vera abilità nel suo utilizzo sta nella capacità di "sintetizzarla", di renderla taylor-made. Oggi è possibile svegliarsi alla mattina e, mentre si sorseggia un caffé, dare un occhiata ai feed a cui si è iscritti, alla propria e-mail, ai siti di news già personalizzati sugli argomenti che ci interessano, ai blog più audaci che si sono scoperti negli anni. Il bello sta nel fatto che ciascuno ha il proprio, personale, rapporto con la rete, ciascuno ha la possibilità di ritagliarsene un pezzettino su misura per le proprie esigenze di informazione. L'altro approccio, combinato al "tayloring" ed ugualmete importante è quello del "sourcing": ovvero la possibilità (e il dovere) di andare a cercare a fondo ciò che ci serve; che sia un paio di scarpe o un armatore svedese, oggi lo si può individuare e contattare direttamente. Tutte queste riflessioni possono sembrare quasi scontate, ma il discorsi si fa molto più complesso se analizzato da una prospettiva globale. Quali saranno, a lungo andare, le conseguenze di questa enorme movimentazione di idee e di informazioni? Quali ripercussioni avrà sull'ordine del mondo e sull'equilibrio delle nazioni? Già, perchè oggi prima delle nazioni vengono gli individui, le cui associazioni e collaborazioni hanno più rilevanza e forse addirittura più identità degli Stati. Un allevatore di bestiame texano ha molte più affinità con la sua controparte argentina di quante non ne abbia con il suo vicino di casa centralinista ed oggi queste affinità hanno creato nicchie e comunità internet in costante contatto. Queste "caste" presenti a tutti i livelli, hanno dato voce a minoranze che prima sarebbero restate inascoltate e che oggi hanno la possibilità di rendere il loro lavoro ed i loro interessi condivisi con i loro simili. Estremizzando questo concetto, e facendo un po di fanta-politica, sarebbe lecito immaginare un futuro governato con più da Nazioni (e quindi basato sul territorio) ma governato da Caste ( e quindi basato sulle idee), un futuro in cui i luoghi fisici serviranno soltanto soltanto per ospitare i corpi e le distese di fibra ottica saranno la casa di un enorme flusso di idee che regolerà le economie dei prossimi anni.

Se questa facilità di interscambio da una parte ha creato nuove opportunità per chi non ne aveva, dall'altra ha rinsaldato il potere in mano alle Elite (nell'accezione che David Rothkopf dà nel suo "Superclass") e, più genericamente in mano ai "migliori", agli "Aristoi", che sono stati, sono, e saranno i primi a sfruttare la tecnologia per acquire la loro presenza nel nuovo mondo globale. Le Elite oggi hanno metodi ancora più efficienti per conoscersi tra loro, stabilire nuove relazioni, e gettare nuove basi per il potere del futuro. Se un tempo le Elite globali erano reppresentate dai soli capi di Stato e qualche grande inustriale che si riunivano meno di dieci volte l'anno, oggi la rivoluzione internet ha permesso alle Elite locali di partecipare a questa enorme Fiera della Vanità: coloro i quali prima esercitavano il loro potere prevalentemente nelle rispettive zone di appartenenza, in questi tempi interconnnesi hanno avuo modo di allacciarsi ai loro simili di tutto il mondo in un modo che pochi anni fa arebbe stato impensabile, creando network globali che permettono di accedere a superstrade dell'informazione e ad ogni sorta di privilegio, di antcipo, di fiducia, basati sul comune riconoscimento di appartenere alla "stessa classe". E' davvero incredibile come certe informazioni circolino in determinati canali prima che siano messe a disposizione di tutti gli altri e come questa dinemica si stia rivelando determinante per la creazione o il rinsaldamento di nuovi business di natura globale. Le nuove Elite anticiperanno sempre di un soffio chiunque non ne faccia parte, prendendo il meglio a loro diposizione e buttando tutto ciò che sta sotto il valore di eccellenza. In altri termini sarà molto più difficile "vivacchiare" se non si avranno a dsposizione abilità critiche da mettere a disposizione. I primi sintomi sono riscontrabili nella difficoltà di trovare una propria dimensione per le migliaia di laureati "mediocri" che le università buttano fuoridi continuo. e' finita l'epoca del "tanto qualcosa faccio, un posto inbanca lo trovo". Per tutti quei ruoli ci saranno i computer. Chi sta fuori da questo meccanismo parte da una situazione di pesante svantaggio rispetto agli altri, qualsiasi sia la sua professione e la sua ambizione.

Un altro punto fondamentale della questione - e qui mi riallaccio a "Le Radici del Futuro" di Thomas Friedman - è quella della molteplicità delle "lenti" -delle prospettive- attraverso le quali si guarda al mondo. Gli "specialisti" sono utilissimi per risolvere le questioni tecniche di cui sono esperti monografici, ma quello che serve oggi è la multidisciplinarietà, ovvero la capacità di affrontare un problema da più punti di vista, non necessariamente specialistici, ma comunque piuttosto approfonditi. Per ottenere questa molteplicità di punti di vista un tempo era necessario fare moltissima esperienza, cambiare luoghi, posti di lavoro, obiettivi, oggi è molto più semplice, perché la rete gioca un ruolo fonamentale nel mettere a disposizione di tutti molteplici "lenti" attraverso le quali guardare al mondo. Oggi si ha la possibilità di non essere mai impreparati di fronte ad una sfaccettatura del problema in oggetto: non ci sono scusanti per l'ignoranza, se non sai qualcosa è peggio per te. Anche nella progettazione, per esempio, di un telefono cellulare, le discipline in gioco sono più di quelle che si può immaginare. Chi crede che si tratti di un fatto meramente ingengneristico più il contributo del design, è fuori strada, e resterà un buon secialista. Non entrerà mai nella "stanza dei bottoni". Le discipline e le conoscenze economiche, geopolitiche, ambientali, tecniche, stilistiche, concorrono, seppur in diversa misura, alla creazione di un buon progetto, qualsiasi esso sia. Internet in questo senso, attraverso il "tayloring", il "sourcing", e tutto ciò che ne onsegue, ha dato una grossa mano.

In conclusione, credo che stabilire una direzione per tutto ciò sia tanto impossibile quanto controllare la teoria del caos che, in fondo, regola questo flusso di informazioni. Di certo c'è che, finchè dura, ciascun individuo è tenuto calrsi in questa realtà ed a sfruttarne le opportunità se non vuole essere inghiottito ai margni del mondo interconnesso. Sono passati 10 anni dalla pubblicazione de "Le Radici del Futuro" e la cosa più stupefacente è che i temi trattati, allora davvero innovativi, oggi sono dati per scontati, sì, ma raramente capita di rapportarsi ad essi in maniera critica, raramente capita di riuscire a vedere questi macromovimenti in modo sterile, alla ricerca delle criticità e dei punti di forza. La Globalizzazione è un mostro a sette teste che ha bisogno di essere seguito, regolamentato e enuto sotto controllo, se non si vuole che esso prenda il sopravvento sulla nostra volontà. Quanto poco tempo è passato, quanto tempo è passato.


JS

Thursday, January 15, 2009

The January movie break: Slumdog Millionaire, The Wrestler, Seven Pounds








Slumdog Millionaire, di Danny Boyle: anche quelli meno riusciti (come The Beach), i film di Danny Boyle mi piacciono sempre, conservano quel "tocco" stralunato trasversale ai generi, che si parli di spiagge, bambini, o vampiri. Questo Slumdog Millionaire (letteralmente "pezzente milionario") riunisce due anime, quella drammatica e quella della commedia sentimentale, senza far gravare troppo l'una sull'altra. In altre parole questo film avrebbe potuto essere una mattonata tremenda se la tristissima infanzia di Jamal fosse stata dipinta con altre tinte, oppure una scontata storiella d'amore, se Boyle si fosse lasciato prendere la mano dalla scontata vicenda sentimentale. Invece Slumdog Millionaire è una prova esemplare di cinema moderno, che in bello stile fa commuovere e divertire. Quando ho sentito sopravanzare le prime note di Paper Planes di M.IA., poi, mi sono quasi sciolto, confermando l'antica vocazione di Danny Boyle per le colonne sonore da urlo.








The Wrestler, di Darren Aronofsky: questo è la vera hit dell'inverno. Nemmeno le dicotomie Stallone-Rambo (o Stallone-Rocky), si avvicinano tanto all'assoluta condivisione di vissuto tra Mickey Rourke e The Ram, il Wrestler le cui tristi vicende sono oggetto di questo meraviglioso film. "Non necessariamente l'attore può aver vissuto delle esperienze simili a quelle "vissute" dal personaggio: l'attore deve ricorrere alle "relazioni armoniche" cioè fare riferimento a circostanze che abbiano una maggiore o minore affinità o somiglianza con quelle del personaggio. L'importante è che l'immagine interiore a cui ci si riferisce sia "consonante" con le reazioni del personaggio." Così dettava Stanislavskij, con il suo metodo, per indicare la strada di compenetrazione attore-personaggio; sono certo che Mickey Rourke non ha dovuto sforzarsi troppo, e questo è il motivo per cui una storia tutto sommato ordinaria riesce a colpire al cuore così a fondo. La sensazione di sofferenza e di sunpatheia che si prova per il personaggio è tanto più grande quanto più si conoscono i retroscena della reale autodistruzione che Rourke ha inflitto a sé stesso negli ultimi 10 anni. I muscoli grandi e vecchi, le carni demolite, i lineamenti sfigurati dai pugni non sono soltanto quel che resta di un wreslter in declino, sono soprattutto le vere lacerazioni di un attore che forse ha finalmente riscoperto il piacere di tornare a fare quello che gli riesce meglio: recitare.








Seven Pounds, di Gabriele Muccino: pochi giorni fa ho sentito un'intervista a Muccino, che si diceva costernato per le critiche molto negative ricevute dal suo ambizioso Seven Pounds; costernato non tanto perchè queste fosserò così negative, quanto perché, per la prima volta non aveva saputo trarre alcun insegnamento da esse. L'accusa di essere"manipolatorio", in particolar modo, l'avevalasciato di stucco: perché? Ultimo Bacio e Pursuit of Happyness non lo erano, manipolatori? Certo che lo erano - dice lui - è uno degli espedienti che il regista ha a disposizione; è sacrosanto diritto dell'autore farci ridere, piangere, pensare, schifare a comando, e per farlo ha bisogno di una fase preparatoria più o meno lunga, più o meno efficacie; è propprio dalla "fase preparatoria", in cui si traccia la storia, si indaga sui personaggi, che si decide l'efficacia e la portata del momento catartico - dico io-. Con queste premesse la visione del film è stata ancora più stimolante. Avevo voglia di poter difendere il "nostro regista" alla sua seconda pova hollywoodiana. Invece, purtroppo, avevano ragione loro: SevenPounds è un film che vive della sola sequenza finale, meravigliosa, in cui esplode prepotente il talento di Muccino e per questo lascia un amarissimo senso di incompiutezza. Per due ore si giocherella meschinamente con situazioni disperate e o si fa senza aver debitamente preparato il tracciato, senza aver creato la giusta sospensione dei sentimenti. Peccato.




Tuesday, January 13, 2009

Your iPod, my Polaroid: la fina della carta?


Elsa Dorfman su IHT è in preda a profonda depressione. Piena di odio per Tom Petters, l'ultimo proprietario di Polaroid, che ha smembrato la compagnia edeliminato per sempre il piacere di stringere tra le dita una fotografia istantanea fatta di carta, non di pixel.

In un altro articolo che ho letto recentemente, non ricordo scritto da chi, si diceva che le camerette dei giovani di oggi sono tristemente vuote: non ci sono più libri, non ci sono più giornali, non c'è più carta. L'era di internet ha favorito immensamente la circolazione e l'intersambio d'informazione e forse ha anche avuto un posisitvo impatto ecologico (forse), ma ha sottratto il piacere della fisicità. Quando leggo qualcosa di interessante online provo sempre la stessa spiacevole sensazione quando ho finito, ovvero l'impossibilità di illudersi di "possedere" quell'informazione, quel pezzetto di cultura, quello scorcio di mondo; sensazione che è invece piùche appagata quando strngi tra le mani, osservi, poi riponi un libro, o quando ripieghi un giornale. In una giornata di lavoro o di intenso girovagare sulla rete mi passano davanti migliaia di informazioni, centinaia di spunti che devo cucire al più presto nella memoria se non voglio che scompaiano senza lasciare traccia. L'escamotage dei "bookmarks", almeno con me, non funziona. Non cerco mai il piacere di riprenderli, di rileggerli, di riaprirli; perchè non li sento "miei".

La mia generazione, quella che segue la x, che non ha ancora un nome ufficiale (il più accreditato per adesso è "internet generation"), è cresciuta fino ad una certa età con l'utilizzo massivo dell'output: disegni su fogli di carta, casette sugli alberi, Lego, giocattoli "fisici", CD, libri, fumetti. La maggior parte delle attività dava prova tangente di sé, lasciava una traccia fisica del suo compimento, eravamo abituati a maneggiare, costruire, creare, collezionare, mostrare e conservare. I videogiochi sono stata la prima esperienza eterea ed anche per questo terribilmente affascinante a suo tempo. Il PC era ancora offline, ed a noi non piaceva molto. Ricordo con piacere quei libri scolastici di cui amai i contenuti, perchè arrivavano apicermi anche fisicamente. Le copertine, l'odore delle pagine. La certezza che sarebbero rimasti lì, come l'Hauser, Storia Sociale dell'Arte, con i suoi molti tomi bianchi e neri, scritti così piccoli, austeri ed impenetrabili, difficilissimi, ma al contempo terribilmente affascinanti da vedere, sfogliare, toccare. Da qualche anno invece siamo entrati nell'era dell'input: "carichiamo" di contenuti ogni genere di apparecchio, dall'iPod all'HD del laptop, sembra che ogni cosa debba essere riempita per funzionare. Sembra che il contenitore non abbia più alcun significato.
Oggi la mia camera è piena di carta, non butto via niente, tra poco ne sarò sommerso. anche il salotto senza carta mi sembrerebbe triste. La carta è segno di vita. Il computer, quando lo chiudi, muore, e si porta con se parte del piacere della conoscenza.


JS

Saturday, January 10, 2009

Old Boy: the perfect wardrobe




Che Old Boy fosse un grande film è cosa nota, inutile ribadirlo, ma ieri sera, rivedendone il secondo tempo su Sky, mi sono ricordato di un gioiello nascosto nel film: il guardaroba di Woo-Jin. Nell'incredibile penthouse di quest'ultimo, cattivissimo, personaggio trova posto uno dei guardaroba (nel senso fisico, non figurato) più geniali che abbia mai visto. Da chiuso è un parallelepipedo specchiato, aprendosi in quattro paralelepipedi minori, che scorrono su binari XY, forma uno spazio indefinito dedicato alla vestizione, ricavato nell'intercapedine che divide i quattro moduli. Una soluzione del genere, appaga non soltanto il narcismo (gli specchi consentono immediata verifica della composizione che si è scelta) ma anche la brama esibizionistica del proprietario, che può godere di un piccolo museo personale da "aprire" all'occorrenza.
Se avessi in camera da letto lo spazio che Woo-Jin ha nel suo attico sarei già all'opera per progettare un gioiello simile.

JS

Sunday, January 04, 2009

Back from Wonderland: a brief report


I libri che ho portato con me in questa vacanza svizzera sono stati: Superclass, di David Rothkopf e Cattiva Finanza, di George Soros. Il primo l'ho quasi finito, il secondo l'ho soltanto iniziato. Perché avere due libri tra le mani è più rassicurante che averne uno. Di Superclass probabilmente parlerò più avanti, perché sta fornendo più di uno spunto di discussione. Un articolo di ieri su IHT diceva che gli "Alp Resort" sono in crisi nera, come i cugini delle Montagne Rocciose; pare che il Palace fosse pieno per un quarto della sua disponibilità, forse è vero, ma io non ho visto tanto calo di affluenza, l'impressione è che, a St.Moritz, chi doveva esserci ci fosse. Adesso, come al solito, qualche rilevamento random, come si conviene ad un buon 007:


1. Meno arabi, meno russi, più francesi.


2. Tutti parlavano del credit crunch, in pochi parlavano delle misure da prendere per uscirne.


3. La carne di zebra è buona, quella di coccodrillo è disgustosa.


4. I dirigenti di UBS, per giunta di una certa età, dicono banalità terribili e così si capisce pechè versino in così deprimenti circostanze.


5. Dopo tante elucubrazioni ho trovato la definizione definitiva per l'architettura del Kulm: sebbene l'impatto complessivo possa sembrare di un austero stampo soviet-socialista, il dettaglio e l'impianto decorativo sono di chiara derivazione neoclassica. Così si arriva a riconoscere l'influenza niarchosiana. O quantomeno si capisce perchè gli sia piaciuto così tanto.


6. La coltivazione 2008/2009 di belle donne ha dato i suoi frutti. Mai vsta una tale concentrazione. Nettamente superiore all'annata 2007/08.


7. Alla fine, gira che ti rigira, si vedono sempre le stesse facce. Di certo non l'ho scoperto io, ma è stupefacente vedere come i signori Rothkopf (Superclass) e Wachtmeister (aSmallWorld) abbiano ragione a proposito della "vicinanza nella stratosfera".


8. Secondo un recente studio di TIME gli uomini più potenti di ST.Moritz sono: il Sig.Brioscini (Backerei Bad, smista tutto il pane della città), le Signore Bornatico (la uniche capaci di contraddire il commodities index, stabilendo il prezzo delle arance su 10 -sfr al chilo), il poliziotto/infermiere (di giorno dirige il traffico, di notte receptionist dell'ospedale si Samedan), Angelo (dopo un passato allo YCCS, continua a seminare terrore come responsabile supremo delle ristorazioni del Palace: Bar Mario, Chesa Veglia, King's Club).


9. Un giovane investment banker di Credit Suisse, con il 2009 resterà a casa, ma, non so perchè, non pareva troppo preoccupato.


10. Quando alla mattina apri la finestra e vedi le montagne innevate, gli alberi bianchi ed il sole che sale al di sopra di essi, beh, è come stare attaccati al caricabatterie.


11. Come al solito, qualche bicchiere di vino è il miglior modo per fare affari. Due giovani brand manger, o product manager, o project manager, a notte del 31 fantasticavano su un'idea di prodotto mica male. Dal momento che potrebbe esserci conflitto d'interessi, però, mi fermo qui.


12. Mathis Food Affairs (quello di La Marmitte a Corviglia) ha aperto un ristorante in paese, all'interno del Post Haus. Non l'ho provato ma pare sia fantastico. Mancherà la vista, però.


13. La Ruski Standard ha definitivamente scalzato tutte le altre. Ha vinto a mani basse la Vodka War di St.Moritz. Nessuno si azzarda ad ordinare altro.


14. Potrei scrivere parecchio gossip, ma poi dovrei venderlo.


15. Tutto di questo posto, dal brie col tartufo al "derapage", mi ricorda di una persona, ecco perchè ogni anno brindiamo a lui, ecco perchè ogni anno facciamo di questo paesino l'unica, vera, riunione di famiglia che ci è rimasta.


E' tutto.


JS