Tuesday, September 29, 2009

The September Movie Break | The Terror Issue: Calvaire, Vinyan, Donkey Punch

Ormai sembrerò diventato cultore dell'horror. Ma non è così, quando intravedo il talento gli corro dietro. Di pochi mesi fa è stato il post sulla nouvelle vague orrorifica francese (quella di Aja e Gens), adesso rinfoltita da una recentissima scoperta: Fabrice Du Welz in coppia con il suo scrittore Oliver Blackburn. I film sono tre, da vedere tutti. Io li ho visti in tre giorni consecutivi, seguendo l'entusiasmo.











Calvaire (2004): non ricordo come l'ho trovato ma è stato un'autentico sconvolgimento. Più inquietante di Martyrs, Calvaire narra la vicenda di un mediocre cantante da teatrino che sosta, causa guasto al furgoncino, nell'albergo sbagliato, nel villaggio sbagliato. Sembra il solito plot alla "Texas Chainsaw Massacre", gli ingredienti sono gli stessi, ma qui niente è come sembra. I punti di vista sono rovesciati: la vittima si trova a fronteggiare carnefici la cui visione del mondo è spostata, quasi sempre invertita; le loro malformazioni mentali agiscono all'unisono, producendo un viaggio (un calvario, appunto) nell'incubo più profondo, fatto di desolazione, emarginazione, deviazione. Il film sale d'intensità progressivamente: dopo una mezz'ora, a cui talvolta bisogna "resistere" nonostante siano da subito evidenti i talenti del regista, l'ultima parte è un crescendo di colpi ad effetto tremendi. Una sequenza su tutte, la resa dei conti finale, ripresa prependicolarmente alla stanza, è un gioiello visivo, di una forza spaventevole assai rara. Lo spettatore è totalmente smarrito dall'assenza di riferimenti razionali, sensazione totalmente condivisa soltanto con il martoriato cantante. Giusto per frvi capire: il protagonista viene chiamato da tutti "Gloria" o "puttana". Un agnello è consoderato essere un cane, quando non viene utilizzato per pratiche che ho addirittura vergogna a scrivere. Per stomaci veramente forti, Calvaire mette in mostra un talento visivo fortissimo ed un'indagine dell'incubo (con risvolti cristiani) spiazzante, dando vita al film più sconfortante che abbia mai visto. La notte stessa mi sono svegliato tre volte in preda agli incubi. Per davvero.







Vinyan (2008): a quattro anni da Calvaire, Du Welz torna con il suo personale Apocalypse now, che ovviamente ha goduto del vantaggio dei soldoni americani, tuttavia senza compromettere troppo quelle caratteristiche che lo hanno portato alla ribalta con Calvaire. Una coppia di coniugi perde un figlio durante lo Tsunami e decide di tornare a Bourma per ritrovarlo. Comincia così il loro viaggio nel terrore di una meravigliosa foresta popolata da bande di bambini. Che purtroppo per loro non sono i "bambini sperduti" dell Isola che Non C'e'. Ancora una volta Du Welz mette in scena un percorso interiore che piano piano perde adesione alla realtà, diventando uno stream cui i protagonisti possono soltanto sottostare. Costante rispetto a Calvaire rimane l'impotenza nei ocnfronti del destino, sembra che reagire non serva a nulla: l'unica strada per la salvezza è la redenzione attraverso il sangue, il riconoscimento della follia come male necessario per espiare la colpa. Emanuelle Béart, bellissima, mantiene la lucidità per poco più di quindici minuti, per poi mostrarsi arrendevole e congiunta con lo spirito dei bambini e della foresta.
Meno "gore" e meno stupefacente di Calvaire, Vinyan mantiene comunque un'ammirevole originalità, non cadendo mai nelle banalità del genere ed esibendo il solito bel talento visivo e sonoro. Un gioiellino, elegante e profondo.







Donkey Punch (2008): Diretto da Oliver Blackburn (scittore di fiducia di Du Welz) è decisamente il più convenzionale dei tre, nessuna grande idea, nè di soggetto nè di tecnica, ma una confezione superlusso per ricordare ai mestieranti americani che si può fare un teen-horror in maniera un po più colta. Tre ragazze, a Maiorca, vengono invitate a bordo di uno yacht da quattro ragazzi dell'equipaggio in licenza. La festicciola, si trasformerà in un incubo quando un incidente provocherà il cedimento nervoso ed una assurda sequenza di morti. Donkey Punch è un deja-vu per molti versi, ma la fotografia, le musiche e qualche volta le recitazioni, lo portano un pochino più in alto della media. Per metà sballone-erotico-adolescenziale (soft core, ma piuttosto esplicito), per metà splatter, con pugnalate, eliche trinciatutto e razzi sparati nel petto: il mix riesce, il film è godibile e fresco, specialmente nella prima parte. Da vedere così, come viene e col "sorriso". Ah, credo si trovi solo in lingua originale.

PS Donkey Punch è una leggenda metropolitana secondo cui, sferrando un colpo secco sul collo alla partner mentre si fa sesso improprio, si otterrebbe un prodigioso effetto.

JS






Friday, September 25, 2009

Cosa ci stiamo perdendo, parte 2: il mocassino


"-Era vera quella storia di Charlie Wallser?"
"- Non potrei giurare su ogni dettaglio ma è senz'altro vero che è una storia."



[No Country for Old Men]






I dettagli di questa storia sono passati di bocca in bocca, quindi non sono pronto a giurare sulla loro completa autenticità. Ma resta una storia. Eccola.
I mocassini, quelli che intendo io, non ci sono più. O meglio, così credevo fino a qualche settimana fa. Sconsolato, per anni, ho cercato di autoconvincermi che le inglesi (Crockett&Jones su tutte) fossero il meglio sulla piazza, che fossero le più prossime a quegli archetipi che ormai sono troppo saldamente impressi nella mia memoria per potere scendere a compromessi. Invece no, in fondo non mi sono mai andati giù. L'unica scelta percorribile è stata quella di custodire quelli del Nonno come gli ultimi esemplari di una specie estinta.
Qualche settimana fa un Cugino della vecchia generazione va a Parigi in visita, ed i Cugini della nuova generazione non possono far a meno di notare che porta dei mocassini meravigliosi. "Morbidissimi, leggeri, bellissimi". La notizia mi viene immediatamente riportata. Il Cugino "old school" è di certo un uomo molto elegante, ed i "piccoli Cugini" sono certamente ragazzi di buon gusto, quindi prendo l'insight per buona. "Sono fatti a mano, su misura a Firenze. Ve ne ordino subito qualche paio" -dice il Cugino-, e si scatena subito una folle rincorsa a quei mocassini.

Con un po di intelligence ben strutturata ottengo le informazioni necessarie e, battendo tutti sul tempo, sono il primo a trovarli. appena li ho visti ho sorriso. Il proprietario del negozio (che li fa arrivare da Firenze) mi avrà certamente preso per pazzo. Non sapevo che colore e che pelle scgliere, erano tutti bellissimi. Leggeri, affusolati, suola a filo. rfetti, anche se non per tutte le stagioni. Alla fine ne ho presi due, con la certezza che da lì a poco li avrei comprati tutti. Tornato a casa (ero in un periodo "defatigante" a Casa), li faccio vedere a mio padre: "Jacopo ma stai scherzando? Questi li ho anch'io. Non te ne eri accorto?". Li aveva trovati prima di me. ecco perchè erano cosi familiari.

Adesso un po di mitologia. I mocassini sono una riproduzione esatta del modello Arfango, celebre negli annisettanta, quando di Tod's ancora non vi era notizia. Il vecchio direttore creativo della Casa fiorentina li aveva riproposti, utilizzando marchi strani e sconosciuti (su internet nessuna traccia). Parlo al passato perché pare lui sia deceduto poco più di due mesi fa, lasciandoci di nuovo senza speranza.
I modelli, dotati della stessa "linea" sono tre: classici-formali, in pelle lucidata; sportivi, dal look invecchiato (un prodigio); e scamosciati. Il fil rouge che li unisce è la morbidezza, la linea sobria ed un sapore antico, che dà l'impressione vi portare ai piedi qualcosa che è vissuto prima di noi, qualcosa che non ha bisogno di essere usato per "invecchiare bene". Insomma, la migliore scoperta dell'anno.


JS



Sunday, September 13, 2009

Milan Vogue Fashion Night 2009: ambiguity.


Giovedì mi sono fatto un giro in bicicletta con fratello e cugini. Inizialmente per andare alla "festa" di Italia Independent, poi ho approfittato per dare un'occhiata in giro. Era la notte bianca della moda. Primo esperimento di un'iniziativa che, se da un lato è lodevole quantomeno per il tentativo di muovere qualcosa, dall'altro mi ha fatto quasi tenerezza. La sensazione era quella di aprire le porte a tutti, non per renderli partecipi del movimento quanto per cercare disperatamente di "fare cassa". La settimana della moda, quella vera, verrà tra poco e sarà chiusa come al solito. E' come se la moda chiedesse al suo pubblico di venirle in soccorso, comprando nel momento del bisogno, per poi sbattergli la porta in faccia alle sfilate ed alle feste che contano per davvero.

Il paragone con la Design Week sorge spontaneo, e non può che risolversi con un'ovvia constatazione: il design è vero e non si prende troppo sul serio; la moda per contro non riesce ad aprirsi completamente per quella sorta di elitismo estetico che la contraddistingue. L'altra sera sembrava di avvertire una specie di innervosimento da parte degli addetti ai lavori che, vedendo un tale confluire di "commoners" nel Quadrilatero, soffrivano per la profanazione dei loro templi.

E' un vero peccato, perchè la moda, come il design, è tra i valori più esclusivi che l'Italia detiene. Sono il frutto di due culture fatte di esperienza, artigianato, profonda conoscenza, tessuto industriale, clientele colte. Questi valori dovrebbero essere condivisi sulla base della passione, dell'interesse, non filtrate dal glamour e dalle copertine delle riviste. Il design riesce a sostenere la dicotomia tra gli "addetti ai lavori" ed il pubblico meno glamour, perchè gli estremi del suo sistema interno (aziende, designer, negozi, clienti) condividono gran parte degli obiettivi. Stanno dalla stessa parte della barricata, sono automaticamente esclusivi, comunicano tra loro in maniera efficiente perchè utilizzano lo stesso linguaggio e questo rende meno stridenti le loro occasioni d'incontro. La moda no, ed il motivo è chiaro: l'impresa moda, nella sua accezione multinazionale non può più prescindere dall'abbracciare tutte le fasce di consumatori, anche quelli che non reputa "all'altezza" di partecipare ai suoi baccanali.


JS