Saturday, April 24, 2010

Houses are like brands: they can be stretched but they can't lie.

Preface [ENG] Homes, just like industrial brands, transmit values. This values reflect particular choices made by their owners when they design them. That being said, one's most important brand is not the one he buys but the only one that truly owns: himself. The house is, above all, the most effective means to measure one's very own personality, hopes and historical feelings. Just as industrial brands have to be very aware when dealing with "brand stretching", people should be careful when they design their houses: the farther they get from their true identity, trying to give an enhanced image of theirselves, the weaker and the more ridiculous will be the final result. Good houses should be filled with concepts, not symbols, because symbols are meant to speak to others and concepts are meant to speak to the owner himsef. Hard programming very often goes along with forced image, unconcius flow of personal choices instead brings a deep understand of true personality. Houses represent the more intimate "core value" of a person, therefore they should never speak to their guests unless when communicating how big is the honor to have them as their guests.




Questo è un post che maturo da molto tempo, perchè ho l'abitudine di identificarmi molto con le mie case. Alcune le ho scelte, altre no (perchè esistevano già), ma in tutte sento un forte senso di appartenenza e naturalmente diventano estensione della mia personalità e delle persone con cui le condivido. Non è necessario essere uomini di marketing per lavorare sui brand, perchè il primo brand che abbiamo a disposizione siamo proprio noi stessi: attraverso il nostro comportamento e le nostre scelte, (anche in fatto di oggetti) consapevoli o meno, definiamo le linee guida della nostra immagine personale, che serve per venderci. Il prodotto di successo viene comprato, quello scadente no. Tralasciando le qualità comportamentali che definiscono una persona, che sono senza dubbio le più importanti ma meritano ben altra analisi, soffermiamoci sugli aspetti più "visibili" ovvero sui beni che possediamo. Gli elementi tristemente più visibili ed accessibili sono le automobili, i vestiti, gli orologi e tutto quello che dovrebbe immediatamente definire uno status. E' facile giocare con gli oggetti, ma sono fatti di fumo: una volta passati di moda di loro non resta niente. Le case, più di ogni altra cosa costituiscono il "core value" per la definizione del brand personale. Sono solide, esistono per davvero, sono fatte di muri, ma soprattutto di sentimenti, sono il vero specchio dell'anima di una persona. Non tutti sono disposti ad investirvi, perchè appunto sono meno evidenti delgli "accessori", non puoi esisbirle e costano molto di più. L'ospitalità, poi, non è una vocazione universale. Ma torniamo al titolo: Houses are like brands, they can be stretched but hey can't lie. Tutti i brand, dal più povero al più sofisticato hanno dei valori centrali, quei valori storici o costruiti, che accrescono il valore percepito di un prodotto. Poi vengono "stretchati", stiracchiati, per coprire quante più fasce di mercato, quanti più consumatori possibile. Sempre sotto la stesso ombrello, ma con sfumature allungate come tentacoli. Tanto più i tentacoli sono lunghi, tanto più sono lontani dai valori centrali, tanto meno saranno efficaci e sinceri. Brand più forti possono permettersi tentacoli più lunghi, senza correre il rischio di romperli, mentre brand più deboli devono fare molta attenzione a fare stretching, perchè è molto facile che affiorino le loro debolezze, la loro mancanza di storia. Per le case è lo stesso, con la differenza che i valori centrali sono costituiti da noi stessi ed i tentacoli rappresentano i tentativi di dare un'immagine allargata e modificata di sé. Come nei brand, le persone più forti e più profonde potranno giocare ed allungare un po di più i tentacoli, mentre gli improvvisati che cercano di dare un'immagine esponenziale di sè hanno sempre risultati scarsi, spesso addirittura ridicoli, se non miserabili. L'esempio più classico è quello di chi, venuto in possesso di buoni mezzi finanziari, cerca di "affermarsi" attraverso una dimora ricca, ma improvvisata. Solitamente quelle case sono cosparse di "simboli" più che di "concetti". Un televisore gigantesco è un simbolo, un'armonia architettonica è un concetto. Arredi preziosi sono un simbolo, la scelta di un colore è un concetto. I simboli sono forzati, i concetti sono spontanei, perchè provengono dal cuore e non dal cervello. La pianificazione estrema è sintomo di insicurezza così come un flusso irregolare di scelte inconsapevoli è sintomo di quel divenire dinamico che è proprio delle grandi (o piccole) case, di quelle in cui respiri la storia di chi l'ha progettata, arredata, vissuta. Credo che la dicotomia principale sia nel voler dire qualcosa agli altri o nel voler ricordare qualcosa a sé stessi. La casa rappresenta il "core value" di una persona, dovrebbe rispecchiare il più intimo modo di essere, non dovrebbe mai parlare agli ospiti, se non per comunicar loro quanto è onorata di riceverli.

JS

Wednesday, April 07, 2010

Ipad on his way to success.


Mio fratello adesso sta per un po a New York, allora ieri mi ha chiesto cosa intendessimo fare con questo benedetto iPad. Lo prendiamo o no? Istintivamente ho detto sì, prendiamolo, lo usiamo come giocattolino per andare su internet e fare cavolate varie in salotto, a disposizione degli ospiti, o quando non abbiamo voglia di accendere i laptop. Se qualcuno, laggiù a Cupertino, avesse seguito la nostra conversazione sicuramente sarebbe inorridito: credo che non abbiamo assolutamente colto la raison d'etre del nuovo apparecchio Apple, soprattutto perchè è ancora difficile, per i più, mandar giù il concetto stesso di i-book. Già, perchè forse iBook sarebbe stato il nome più giusto per l'iPad, se non fosse già stato usato per la nota serie di laptop. A parte amenità varie, quali internet ed applications, iPad é - e desidera ardentemente essere - un libro elettronico. Pixel in luogo di cellulosa. Ma quale futuro avrà? Saremo tutti, pian piano, travolti dalla tecnologia o resteremo indissolublimente legati a quel mucchio di fogli rilegati che si chiama libro? Un giorno sì e l'altro pure, negli editoriali del NYT si parla del futuro del giornalismo, dell'editoria e del libro rispetto ad internet ed alle apparecchiature da essa derivate.
La questione ormai ruota attorno a due perni fondamentali: la sostenibilità economica dei modelli di business editoriale basati su internet e la fruibilità (accettazione?) da parte del consumatore di tale, profondissimo cambiamento. Da poco i grandi gruppi editoriali stanno sondando il terreno per capire se i lettori online sono disposti a pagare per leggere quei contenuti che fino a ieri potevano consultare gratuitamente, ed i risultati sembrano essere poco incoraggianti soprattutto perchè le notizie ed i commenti si trovano ancora, free of charge. Urge quindi trovare soluzioni di marketing che rendano tali contenuti molto più desiderabili dall'utente medio. Dal fronte del libro invece, sebbene la prospettiva di scaricarne a centinaia sullo stesso supporto possa apparire veloce oltre che alettante, non riesco ad immaginare come si possa rinunciare al profumo, alla consistenza della carta ed al piacere di vedere la propria biblioteca personale lievitare negli anni in memoria della cultura acquisita. Credo che chiunque sia nato con un libro di carta tra le mani troverà insormontabile questo ostacolo, ma è altresì evidente che le nuove generazioni ( i Digitali, quelli venuti dopo i Millennials), nascendo con libri elettronici sotto gli occhi, a casa e a scuola, soprassederanno facilmente.
La furbizia dell'iPad (rispetto al Kindle per esempio) sta proprio nell'aver saputo attrarre gli indecisi con le "caramelline" delle applicazioni collaterali mentre in realtà sta introducendo lentamente il concetto del libro elettronico su vasta scala, creando così il varco decisivo per l'evoluzione e la proliferazione della sua (bieca?) specie. IPad sarà un successo travolgente.

JS