Thursday, December 20, 2007

Sleuth (1972)


Volevo vedere Sleuth 2007, e casualmente ho visto Sleuth 1972. Non chiedetemi quale sia più bello, perchè dopo aver visto l'originale ho deciso non rovinarne la memoria con il remake di quest'anno, che vede Michael Caine nel ruolo che fu Laurence Olivier, e Jude Law nel ruolo che fu dello stesso Caine.

Vedo molti film, ed ultimamente mi emoziono poco e ne scrivo poco. Dopo aver visto Sleuth sono rimasto abbagliato e sorpreso nel riscoprire la forza della recitazione. Sebbene la versione di Mankiewicz sia una diretta trasposizione teatrale (e sul dibattito cineteatrale sorvolerò) credo sia un esempio di ritmo ed equilibrio sempre più raro ai giorni nostri. Il film dura due ore, ed è riempito da una casa e due persone, tutto qui. Se quelle due persone poi sono Laurence Olivier e Michael Caine beh, allora è un'altra storia. Le espressioni, la gestualità e le parole si rincorrono e si tagliano a tra di loro, senza sosta, costruendo un percorso in cui la banalità della storia è sommersa dall'immensa bravura degli interpreti. E poi che piacere tornare a vedere due veri gentiluomini, superbi ma non austeri, misurati ma mai banali, specchio di una dignità maschile vera, soppiantata oggi dall'uomo delle palestre. Nella prima sequenza Caine attraversa il labirinto dell'antica magione per raggiungerne poi il centro, dove lo attende Olivier. Caine indossa un blazer bluette doppio petto con revers a lancia e bottoni d'oro, sontuoso; Olivier risponde con una giacca tre bottoni in tweed: scontro tra titani. Nel secondo atto Olivier si appresta a mangiare una tartina al caviale, da lui stesso meticolosamente preparata; il morso non affonda perchè qualcuno suona alla porta, è l'ispettore. Olivier sta indossando una meravigliosa dinner jacket rossa, costume dell'ospite. Olivier non sapeva che avrebbe ricevuto qualcuno, o forse si? Dettagli di grandezza.

JS

Ecopass Milano

Mi permetto questa divagazione "terrena" perchè sono sconvolto dall'iniziativa del sindaco di Milano Letizia Moratti: l'Ecopass. Da sempre ho sostenuto la necessità, da parte di una città che vorrebbe porsi come una tra le metropoli più evolute d'Europa, di compiere passi forti e decisi verso il miglioramento delle proprie condizioni di vivibilità. Traffico intenso, inquinamento atmosferico e scarsità di parcheggi sono i problemi più evidenti, ed il nostro sindaco ha cercato di porvi rimedio nela maniera piu fasulla, ruffiana e strumentalista. Dopo una lettura attenta del regolamento dell'Ecopass ho evinto che, in quanto alla pratica, le automobili tassate per entrare nella cerchia dei bastioni saranno una percentuale talmente bassa da risultare ininfluente ai fini del traffico e dell'inquinamento, ma decisiva in fatto di peggioramento della viabilità nelle aree contigue la "corona degli accessi", già abbastanza congesionate nello status quo, che subiranno un ulteriore pressione di automezzi non autorizzati all'ingresso nella cerchia dei navigli, alla ricerca spasmodica di posteggi esterni. I veicoli tassati, ovvero quelli precedenti alla normativa Euro 3, sono in poche parole quasi tutti quelli immatricolati perima dell'anno 2000 (per i diesel è un po diverso). Riflettete su quanti, fra amici e parenti, hanno automobili precedenti tale data. Io non ne ho trovato nemmeno uno. In una città come Milano, dove l'automobile è più importante della casa, sono davvero pochi quelli che non posseggono auto a norma. Gli unici a subire gli effetti negativi dell'Ecopass saranno i meno abbienti, che non possono permettersi auto a benzina Euro3 o diesel con filtro antiparticolato. Questi sfortunatirappresentano comunque una percentuale bassissima delle automobili circolanti. Per farvi un'idea, provate a contare per strada le targhe con dicitura precedente, più o meno, a BD XXX XX, ovvero quelle immatricolate prima del 2000. Vi assicuro che sono pochissime. Per i diesel il discorso è un po diverso, perchè l'antiparticolato è un optional recente e costoso ma il discorso non cambia, i proprietari di grandi SUV non avranno problemi a pagare e circolare, i meno abbienti saranno i più colpiti. Discorso a parte è poi quello dei residenti, che godono vantaggi ridicoli: sconti sul pass e possibilità di circolare in centro gratuitamente senza varcare gli ingressi in uscita. Le automobili sono già abbastanza tassate e con questo provvedimento si toglie la possibilità di accedere gratuitamente alle proprie abitazioni ai residenti delle zone centrali, dove un appartamento costa dai 5000 ai 12000 Euro al mq. Credo pertanto che il pass gratuito per i residenti sarebbe stato consono.
A Milano entrano ogni giorno circa un milione di persone, che corrispondono a circa 700.000 automobili, non residenti nel comune di Milano. Ecco, sono queste le persone cui dovrebbe essere impedito l'ingresso. Se la circolazione fosse concessa soltanto ai residenti il traffico milanese sarebbe come quello di ogni altra media città italiana, scorrevole, con qualche piccolo rallentamento nelle ore di punta. Chi viene a MIlano per lavorare è il benvenuto, ma deve prendere i mezzi pubblici, che, debitamente potenziati, trarrebbero non poco giovamento dall'alleggerimento del traffico. Grandi parcheggi gratuiti e mezzi potenziati per i non residenti: questa è la soluzione, unitamente alla chiusura totale del centro storico, accesibile ai soli residenti di zona. Sarebbe una misura greve, difficile da proporre e da accettare (soprattutto per i commercianti) in prima istanza, ma rappresenterebbe un VERO PROVVEDIMENTO, non una misura di propaganda per il sindaco. Comunque vada l'amministrazione comunale dirà che è stato un successo, fra un anno presenterà dati confotanti sull'abbassamento delle medie di polveri sottili presenti nell'atmosfera e tutti inneggeranno al sindaco ecologista, senza sapere che si poteva fare molto di più.

JS

Saturday, November 03, 2007

Lobb vs. Lobb



Immaginate la mia sorpresa qùando, visionando il resoconto degli accessi a qùesto blog, ho scoperto qùal'è l'argomento più gettonato tra i lettori. La maggior parte dei visitatori arriva cercando sù Google "Jacopo Signani", segùiti da qùelli che cercano "John Lobb". In modo particolare "John Lobb Roma". Stando qùindi tra i primissimi risùltali di Google mi sembra giùnto il momento di fare ùn po di chiarezza.

John Lobb era ùn calzolaio inglese, morto alla fine del XIX secolo, la cùi bottega di Londra ha dato all'ùmanità le più grandi scarpe di tùtti i tempi. Insignito di ben tre Royal Warrants, il negozio di St James's St. ha vestito i piedi dei più grandi gentlemen del sùo tempo, ridefinendo il concetto stesso di bespoke, sù misùra. Dalle celebri "doppia fibbia" alle derby, ai mocassini, le sùe scarpe incarnavano la perfezione tecnica e l'assolùto eqùilibrio estetico. Create appositamente sùl piede del cliente, impossibile non riconoscerne l'immenso fascino anche per i meno esperti. Il servizio sù misùra si poteva prenotare nelle botteghe di Londra e, più tardi, Parigi.
E' proprio Parigi che ha portato alla disambigùità che ora è oggetto di discùssione. I bene informati sanno che il sùccesso della boùtiqùe parigina ha destato l'interesse di ùn'altra maison storica (sebbene di dimensioni maggiori), Hermès, in cerca di ùno sbocco consolidato sùll'abbigliamento maschile, in cùi era rimasta ùn po indietro. Facilitata dal fatto che era proprio lei ad ospitare Lobb nella location parigina, Hermès strette ùn accordo di acqùisizione nel 1976, incorporando tùtte le fùnzioni di John Lobb, esclùsa la bottega di Londra.
Nasceva così la contrapposiizone tra John Lobb (Hermès) e John Lobb Ltd., la bottega di St James's. Inùtile dire dove sia rimasta l'essenza del calzatùrificio.
Mentre John Lobb Ltd. continùava l'immensa tradizione artigianale, JOHNLOBB abbandonava totalmente il bespoke per dedicarsi alla più volgare linea di pret-a-porter indùstriale, dando al brand il la fama internazionale e "popolare" di cùi oggi gode, testimoniata dal fatto che qùalcùno cerca sù Google "john lobb roma".

In conclùsione, qùindi, evitate di comprare ùn paio di scarpe di John Lobb, a meno che non abbiate il tempo (e le disponibilità) di andare in St.James's ed aspettare ùn anno in lista d'attesa (a meno che non siate già clienti). Non crediate di appropriarvi di ùna fetta della storia di John Lobb andando in ùn corner di Hermès o di ùn Dept.Store, perchè qùello NON
é JOHN LOBB.

Wednesday, October 24, 2007

Rise of the Spimes



Nonostante la moltiplicazione esponenziale delle conoscenze tecnologiche non ponga limiti agli orizzonti immaginativi, la demarcazione tra il reale ed il virtuale rimane uno dei capisaldi nella costituzione della nostro pianeta, della nostra essenza. I dati sono informazioni, gli atomi costituiscono materia. Il mercato finale del prodotto retail resta basato sullo scambio di materia. Il mercato "soft" dei servizi e delle informaizoni si stanzia su un percorso parallelo. Difficilmente si incrociano, fatta eccezione per itunes+ipod e poche altre eccezioni.

Adesso però, il sovracarico informativo e la sua progressiva conglomerazione (vedi aggregatori) stanno dando nuovi significati alla vita stessa di un oggetto. Parallelamente all'utilizzo fisico ed alla vita materiale, un oggetto vive una seconda vita fatta di informazioni. Tali informazioni scandiscono ogni momento del life-cycle e permetteranno, dopo la sua dismissione, di tracciarne la storia, conservando così per sempre, tramite il data-mining, la memoria del prodotto.

E' cosi che nasce la teoria degli Spime, metaoggetti, ibridi di materia e teoria, composti fisicamente sulla base di loro stessi, del recupero di informazioni degli spime precedenti e dell'interazione delle persone con la nuvola di informazioni che lo spime genera.
Grazie alla tecno-cultura sincronica, bit ed atomi convergono, così come le tecnologie emergenti che stanno alla base di questa teoria (vedi figura).



La caduta di Second Life (ammesso che abbia mai avuto una significativa ascesa), è dovuta proprio a questo concetto, ovvero la sua incomunicabilità con il mondo del reale, la sua incapacità di avere qualsivoglia riscontro nella sfera tangibile. L'evoluzione più auspicabile dell'universo virtuale è quindi quella della sovrapposizione e dell'interazione con la fisicità umana. Si prenda a riferimento il Mito della Caverna di Platone e la sua distinzione tra conoscenza sensibile ed intellettiva: una volta ammirate le statue nella loro reale fattezza, il novello osservatore ne riconosce immediatamente la maggiore dignità; difficilmente tornerà ad incatenarsi nel mondo dell'illusione intellettiva.

Internet, attraverso plotter tridimensionali, forse potrà dare vita ad oggetti fisici, che porteranno dal loro concepimento fino al riciclaggio il loro DNA, fatto di dati a memoria storica, virtualmente infinita.
Conoscenza sensibile ed intellettiva troveranno un luogo d'incontro.
Le teorie Platoniche saranno messe in discussione. Forse.

JS

To build a home


Sdraiatevi da soli, in salotto o in riva al mare.
Suonate "To build a home - Cinematic Orchestra".
Penserete a quello che conta davvero.




Out in the garden where we planted the seeds

There is a tree as old as me
Branches were sewn by the color of green
Ground had arose and passed it's knees

By the cracks of the skin I climbed to the top
I climbed the tree to see the world
When the gusts came around to blow me down
I held on as tightly as you held onto me
I held on as tightly as you held onto me......


Cause, I built a home
for you
for me

Until it disappeared
from me
from you

And now, it's time to leave and turn to dust...

Monday, October 08, 2007

Quality of life Index


Per alleviare le tragedie e le tristezze che il mondo ci riserva dobbiamo cercare di innalzare la nostra qualità della vita. Di seguito una lista personale di piccole e grandi cose che miglioreranno la vostra percezione della vita, e vi renderanno meno gravosi sul prossimo.

1. Circondati di oggetti che non si esauriscono, che non passano di moda. Stare attenti nella scelta permette di non affannarsi quotidianamente.

2. Frequenta persone che sorridono e che ti ascoltano, non i lacchè, sono invidiosi e, alla lunga, pericolosi.

3. Vivi quando sei da solo esattamente come faresti in pubblico o in compagnia.

4. Fai riporre le camicie in ordine, stirate e piegate, non appese, meglio se in ordine di colore.

5. La tua macchina deve starti addosso come il tuo abito.

6. Cerca di mangiare sempre bene, in casa e fuori casa. Non ordinare filetto al ristorante, puoi cucinarlo da solo, purchè tu non compri la carne al supermercato.

7. Comprati una bicicletta e usala finchè il tempo lo permette. Quando te ne sarai innamorato convinci i tuoi amici a fare lo stesso.

8. Non rivelare a nessuno il nome del tuo sarto.

9. Puoi prestare poca attenzione a pantaloni e pull-over, non puoi permetterti di sbagliare giacca, camicia e scarpe

10. "E' meglio essere high-income low-profile, piuttosto che low-income high profile"
(zio Doudou)

11. Frequenta la panetteria, l'edicola ed il fruttivendolo personalmente ed assiduamente. Ne capirai i vantaggi.

12. Prendi dieci minuti della tua giornata per te stesso. E rifletti.

13. Telefona spesso alla tua famiglia e racconta loro quello che stai facendo.

14. Non promettere ad una donna più di quanto tu non possa darle.

15. Non avere mai l'ultimo modello di cellulare.

16. Compra pasta garofalo, non Barilla.

17. Sii gentile e sorridente con le persone che incontri per strada ed al supermercato.

18. Invita a cena una ragazza, da sola, o dieci amici.

19. Se hai un iPod nascondilo, cambia le cuffie, o dì che te l'hanno prestato.

20. Se hai un iPhone usalo adesso, poi buttalo via quando esce in Europa.

21. Non dire mai: "...ci becchiamo su aSmallworld..". Fallo e basta.

22. Non dire mai i nomi di località di vacanza, dì "vado al mare, vado in montagna".

23. Non essere autoreferenziale. Non autocitarti.

24. Diffida dagli adulatori, da chi ti sta subito simpatico e da chi ti da sempre ragione.

25. Passa il maggior tempo possibile nei tuoi posti speciali e, quando ne sei lontano, pensaci.

26. Costruisciti almeno 3 great escapes.

27. Abbi almeno un buon contatto a Londra, New York, Parigi, Roma, Tokyo e Stoccolma.

28. Bevi almeno un bicchiere di vino al giorno.

29. Cerca di fumare il meno possibile.

30. Non andare in snowboard, fai uno sforzo e impara a sciare come si deve.

31. Non parlare di lavoro con gli amici, a meno che non ne siano direttamente coinvolti.

32. Non sei il lavoro che fai: prova ad eliminare tutto il professionale che c'è nella tua vita, guarda cosa ne resta e trai le debite conclusioni.

33. Sii ottimista, insisti il giusto. I rinunciatari non perdono mai, ma non vincono nemmeno.

34. Condividi quello che hai.

35. Non mortificare un buon piatto con un vino scadente.

36. Risparmia sull'automobile, non sulle case.

37. Porta calzini lunghi, scuri e bucati, non corti e bianchi.

38. Non togliere l'orologio quando fai la doccia e quando dormi.

39. Non addobbarti, vestiti.

40. Non occuparti dei conti, chiedi soltanto "quant'è?"

41. Fai sentire a proprio agio chi ti sta intorno.

42. Non tradire le aspettative. Se proprio devi, fallo con qualcosa di meglio.

43. Mantieni la parola data.

44. Considera le persone per quello che valgono, non per quello che hanno.

45. Il rapporto tra valore della tua automobile e quello delle tue case dovrebbe essere 1:100. E' tollerabile fino a 1:30. Se è inferiore fai un esame di coscienza.

46. Non aver paura di essere duro con un tuo amico.

47. Ricorda che le persone che incontri quando sali la scala sono le stesse che incontri quando la scendi.

48. Ascolta cosa die tua madre, è la persona che ti conosce meglio.

49. Bevi più champagne che puoi, essere il più ricco del cimitero non serve a nulla.

50. Non dire mai "buon appetito".

51. Non vestirti mai "da casa". Devi essere sempre pronto a ricevere chiunque, in qualsiasi monento.

52. Rispetta, prima di tutto, te stesso, le tue idee, i tuoi desideri, le tue ambizioni.

53. Cucina in una padella di prima classe.

54. Non dimenticare chi ti ha aiutato a diventare quello che sei oggi.

55. Lucida spesso la tua collezione di scarpe.

56. Onora la tua storia.

57. Quando puoi spremi le arance e bevi la tua spremuta.

58. Se più di 5 persone su 10 sono d'accordo con la tua idea, buttala, è banale.

59. Crea controversia, dibattito, curiosità.

60. Fai tutto su misura, se non è possibile personalizza.

61. Sii chi sei veramente, non chi vorresti essere.

62. Chiedi sempre scusa.

63. Non lasciare che gli oggetti prendano il sopravvento sulle esperienze.

64. Non fare shopping.

65. Prendi le news dove e come vuoi, ma scegli accuratamente gli approfondimenti.

66. Passa una buona giornata e non sforzarti troppo di seguire questa lista. Se queste cose non ti vengono spontanee non puoi farci nulla. Al massimo puoi aspettare.

JS




Per concludere, una serie di nomi.

Nomi da NON pronunciare: Porsche, Ferrari, Bentley, St.Tropez, Milano, Porto Cervo, Bose, Louis Vuitton, aSmallWorld, Gucci, Pershing, Perini, Nobu\Armani, Investment Banking, Zegna, Apple\Mac, Church's, Cipriani, Montecarlo, filetto, sushi, sigaro cohiba, mojito.

Nomi che "si possono" pronunciare: Jaguar, Fiat, Riva, John Lobb, Loro Piana, Umberto Dei, Cecchini in Chianti, Harry's Bar, Smith and Wesson, Old England, Holland and Holland, Svizzera, Tuo Nonno, St. Moritz, Gstaad, Londra, Wealth Management, Colette, Monocle, acqua, pesce crudo, Capichera.

Tuesday, October 02, 2007

Rebranding Milano


Le Nazioni sono aziende in tutto e per tutto, più complesse di quelle ordinarie, ma seguono comunque le stesse direttrici: devono erogare un buon prodotto, far quadrare i bilanci, rispondere agli azionisti (i cittadini) e rendere conto del loro operato ai competitors (ONU). Chiaramente ogni Nazione ha la propria vocazione, proprio come una qualsiasi azienda; la Cina di oggi, per esempio, potrebbe essere paragonata ad un terzista, ad un fornitore di materia prima di Unilever, la Svizzera ad un istituto di wealth management, l'Italia ad una antica bottega calzolaia (John Lobb per esempio), gli Stati Uniti ad un gruppo industriale grande, potente, stabile, come Unilever appunto, e avanti cosi. Ogni Nazione deve saper sfruttare le proprie forze per generare opportunità e nascondere le proprie debolezze per scansare le minacce. Argentina, Haiti, Nigeria, non sono riuscite a capitalizzare le risorse interne (natura, gas, petrolio, minerali) perchè le debolezze hanno avuto il sopravvento, creando dittature, guerre civili o strabilianti casi di bancarotta. Il risultato è stato che, agli occhi del mondo, la loro immagine è precipitata. Chiunque, ormai, è consapevole del "peso" che la Brand Awareness si è ritagliata tra gli asset di una compagnia, ecco perchè essere svergognati pubblicamente può danneggiare irreparabilmente la reputazione di una Nazione, determinando la morte, o quantomeno un'impasse del proprio Brand.
Avere un Brand forte oggi è più che mai importante per una Nazione, pensate alla credibilità di cui gode la Svizzera, l'aura di fascino che avvolge la Francia o l'efficienza scandinava. Questi valori non sono soltanto belli da percepire, sono fonte di ricchezza, di denaro, e quest'ultimo porta benessere per i cittadini, che è poi il fine ultimo dell'azienda-stato. Con il denaro le amministrazioni pubbliche possono permettersi di implementare infrastrutture, trasporti pubblici, servizi previdenziali. Saper valorizzare il proprio brand, a livello internazionale, porta benessere.
Se lo Stato è l'azienda, le grandi città sono i suoi prodotti di punta, quelli che devono veicolare e portare in giro per il mondo i valori di cui la Nazione vuole farsi carico. Le città oggi hanno assunto un ruolo strategico fondamentale per il benessere di na nazione. Parigi e Londra si sobbarcano, da sole, l'onere di sostenere il brand delle loro intere nazioni, così come l'Argentina è Benos Aires e Caracas è il Venezuela. Questi sono casi monocentrici, in cui l'anima, i valori, lo spirito di un popolo, confluiscono in un unico cuore pulsante, facilitando sicuramente il compito di valorizzazione di tali valori. In poche parole, tutto il meglio di una nazione sta in un posto solo. L'impatto che parigi ha sull'immagine della Francia stessa è cosi potente da averla portata al primo posto tra i paesi più visitati al mondo: accentramento allo stato puro. E' molto più semplice far percepire ad un turista la bellezza di una nazione attraverso una sola meta, piuttosto che costringerlo a più destinazioni: un americano arriva a Parigi, soggiorna per una settimana, vede tutto, ma proprio tutto, concentrato, poi torna a casa, in Ohio, e dice al suo vicino: "Che meraviglia la Francia". Adesso pensiamo alla difficoltà che ha il brand Italia per mostrarsi nella sua interezza. Roma, Venezia, Firenze, Milano, Napoli, Bologna, Palermo, e mi fermo qui. Un turista non può immergersi completamente nella cultura e nelle bellezze del nostro paese se non compie, almeno, un tour di queste città. Firenze, da sola, non vale Parigi, Venezia, da sola, non vale Parigi, Milano, da sola, non vale Parigi. Roma invece, da sola, e anche soltanto per un'ora, vale il resto del mondo, ma i problemi di Roma sono ben altri. Il brand Italia è fortissimo, per carità, ma pensate a cosa potrebbe essere se ruscisse a fare di questa delocalizzazione la sua più grande forza, anzichè subirne gli effetti. Se i comuni, le province, le regioni, lavorassero all'unisono l'Italia non avrebbe concorrenti. E' inammissibile vedere, all'aeroporto di Francoforte per esempio, un manifesto con scritto "Visita le Marche". Al suo posto dovebbe essercene uno con scritto "Enjoy Italy". Le radici di questa frammentazione si trovano chiaramente nella matrice "comunale" della nostra Nazione, che "Nazione" non lo è mai stata. Ma questa è un'altra storia. Il brand italia, quindi non rende quanto dovuto, lavora chiaramente al di sotto delle sue possibilità. Innervosente è inoltre il mesto atteggiamento da superpotenza industriale: l'Italia non la è, e per cercare di indossare quella maschera risulta ridicola. Il nostro tessuto industriale è notoriamente composto da piccole-medie imprese, che non sono altro che l'evoluzione delle botteghe artigiane rinascimentali, ovvero piccole strutture ad alta specializzazione ed altissima qualità. Questa dovrebbe essere la cifra italiana, unitamente alla valorizzazione dell'incredibile patrimonio naturale ed artistico. Qualità, poca quantità, natura, cultura, arte, dovrebbero essere le leve per produrre brand value.

Se Roma è la città più internazionale per le relazioni turistico-ludiche, Milano lo è certamente per le relazioni professionali e sperimentali. Il brand Romano è immobile, non muta con il passaggio di culture estranee. Tutti si portano via qualcosa da Roma, in pochi invece lasciano qualcosa. La cultura produttiva di Milano invece, ha sempre favorito lo scambio di competenze, e la commistione di idee. A Roma si ammirano antichi capolavori, a Milano si dipingono nuovi standard. Tali standard sono quelli della moda e del design. Perchè la finanza a Milano davvero non stabilisce nuovi standard, questo avviene a New York, Londra, Tokio.

Proviamo a mappare i valori e le difficoltà della città di Milano.

Punti di forza

-Moda
-Design
-Calcio
-Ristorazione
-Shopping
-Vicinanza a mare e montagne
-Aeroporto cittadino
-Brand locali di valore storico
-A misura d'uomo
-Eleganza diffusa

Punti di debolezza

-Inquinamento
-Scarsa pulizia
-Traffico
-Metropolitana poco estesa
-Vita notturna banale
-Scenario artistico statico
-Mentalità provinciale
-Nessuno sforzo urbanistico

La moda italiana sta passando oggi i suoi giorni più grigi, e la settimana della moda appena trascorsa ne è testimonianza lampante. E' stata letteralmente inghiottita da quella Londinese, conclusasi soltanto una settimana prima e molto più reclamizzata dai media internazionali. Mentre a Milano restano in vetrina i grandi del passato, i giovani più talentuosi (anche italiani) sono oggi più attratti dalle luci di Londra e Parigi, a tutto beneficio dei marchi francesi. Se a questa fuga di talenti aggiungiamo la tendenza consolidata all'acquisizione dei nostri marchi da parte di gruppi stranieri (LVMH su tutti), quello che si delinea è uno scenario preoccupante. L'Italia sta perdendo anche la moda. Armani e Prada stanno resistendo agli assalti stranieri, ma per quanto tempo ancora non è dato saperlo. Ancora una volta, la naturale bravura degli italiani nelle piccole produzioni di grande pregio scompare quando si trovano a fronteggiare logiche da multinazionale, basti pensare alla fine che sta facendo la maison Versace.

Veniamo adesso a qualcosa di positivo. Il Salone Internazionale del Mobile di Milano, o più semplicemente la Design Week, sta assumendo proporzioni di visibilità epiche. Il Salone è da qualche anno l'evento mediatico più importante al mondo, eccezion fatta per i campionati mondiali di calcio, che comunque appartengono ad un'altra categoria e si tengono ogni quattro anni. Oggi nessuna manifestazione infatti annovera un maggior numero di testate giornalistiche accreditate, televisioni, ed inviati di ogni sorta. Il fenomeno non è più circoscritto alla stampa di settore, adesso tutti, dal Washington Post a Io Donna, hanno una rubrica dedicata al design. Il design è un fatto globale, e la sua casa è Milano, solo Milano, senza Londra, senza Parigi, senza New York. Ecco, questo è il vero patrimonio di Milano, come negli anni '80 lo era stato la moda. Il design è al suo apice ma i pericoli sono già dietro l'angolo, perchè nonostante questo picco di fama e ricchezza, i talenti non crescono più qui. Vengono da tutto il mondo e trovano lavoro da Cappellini, Alessi, DePadova, Magis. Il rischio è che queste aziende, di fama internazionale, facciano la fine di quele della moda, sacrificandosi alle logiche del business. Queste sono specchio del boom italiano del secondo dopoguerra, vero spirito della media impresa familiare, dove le distanza tra dirigenza e produzione è minima. E' da queste interazione che sono nati i successi conclamati di Castiglioni con Artemide, Giovannoni con Alessi e via dicendo. Le dimensioni contenute delle strutture amministrative consentono ancora alla passione dei patriarchi di conluire nella creatività dei grandi progettisti, cosi si arriva a prodotti epici. Gli italiani sanno fare il prodotto, come nessun altro, e lo sanno vendere, come nessun altro. Se Milano immolerà anche il Design sull'altare delle acquisizioni, allora a Milano resterà ben poco.

Milano è una città dalle grandi potenzialità. Per sistemare problemi cronici come quelli della viabilità, inquinamento e trasporto pubblico, credo che la strada corretta sia quella della concentrazione sui valori più forti: design e moda, appunto. Entrambi dovrebbero tornare a produzioni numericamente contenute, ad altissimo valore d'immagine ed altissima qualità costruttiva, specialmente in un epoca in cui le congiunture macroeconomiche stanno portando ad un mondo tristemente diviso in ricchi e poveri, con la conseguente cescita esponenziale della redditività del settore lusso, in cui l'Italia è maestra.
La posizione strategica di Milano, tra mare e montagne, continuerebbe comunque a favorire la permanenza di uomini d'affari internazionali, che si troverebbero a lavorare a due ore dalla Maremma e dalle Alpi Svizzere. La questione dell'inquinamento, per finire, potrebbe essere facilmente risolta con il blocco totale della circolazione di automobili fino alle 20:00, all'interno del centro storico, con il conseguente potenziamento di linee sotterranee, di superficie e piste ciclabili. I ristoranti di Milano sono ottimi, cosi come gli alberghi, perchè milano è bella dentro. La milano che si vede per strada, quella modaiola, provinciale e presenzialista invece è proprio misera. La belezza a Milano si trova nelle case, nei salotti, nei giardini, e nei loro proprietari, che, purtroppo, appena possono, raggiungono il loro buen retiro.
Un rebranding di Milano, dunque, sarebbe buono, possible, necessario.

JS

Wednesday, May 02, 2007

Studio 54: those dancing days are gone


Sul New York Magazine (http://nymag.com/news/features/31276/), in questi giorni si festeggiano i 30 anni dalla chiusura dello Studio 54, probabilmente il più grande locale notturno della storia. Attraverso un malinconico then and now di alcuni dei superstiti si cerca di rievocare spiriti perduti, con un'operazione-nostalgia dal sapore un po grottesco. Sono tutti bravi a piangere su coloro che per decenni erano considerati i freak di Park Avenue.

Chiaramente, per la mia giovane età, non ho potuto mettere mai piede in quel circo dell'eccesso, ma sono sicuro che ne sarei stato abitué, se solo i decenni me lo avessero permesso. Chi mi conosce sa, che non per le esuberanze chimiche, ma per quelle di colore, quel posto mi avrebbe inghiottito. E' stato il primo fenomeno di legittimazione del locale notturno, prima di esso la "discoteca" era vista come convoglio di balordi. Steve Rubell, che ha pagato con la vita questa sua grande opera, creò un mondo parallelo dove si mescolavano "princes and waitresses" con la stessa dignità. Su quel palco andava in scena uno spettacolo assoluto, recitato d'improvvisazione dai personaggi cui era consentito farne parte. I principi di diversity, che oggi le migliori business schools vanno ricercando affannosamente, erano già stati ampiamente anticipati. Lo spettacolo non era condotto dall'environment, dalla struttura, piuttosto si basava sulle interazioni dei personaggi stessi, che erano accuratamente selezionati per non deludere le reciproche aspettative. Come tutti i capolavori, lo Studio 54 è bruciato repentinamente della sua stessa fiamma, troppo ardita. Conosciamo tutti la gelosia degli Dei, e le punizioni riservate a noi, piccoli umani, quando ci avviciniamo troppo a certe rappresentazioni.


Quella fiamma fu talmente forte che i suoi bagliori sono ancora visibili, presenti nella memoria storica di generazioni di edonisti, di chi vi prese parte e di chi ancora non era nato. Ian Schrager, socio e amico di Steve Rubell, si è concesso un second act, segno che lo Studio non fu soltanto un colpo di fortuna. La sua catena di Hotel (Ian Schrager's) rappresenta una meraviglia di narcisismo. Delano, Hudson, Gramercy, Royalton, 40Bond, Paramount, sono alcuni dei capolavori, figli dello Studio54, in cui quello spirito rivive, come un affresco cristallizzato.

Io ho dormito al Paramount, Manhattan. Nella mia stanza, completamente bianca, troneggiava un altissimo letto king size, la cui testiera portava una "Dama con l'ermellino" stampata su plastica. Princes and waitresses, ancora una volta le divinità dormivano con i comuni mortali.


JS

Monday, April 30, 2007

La modernità


In prossimità di una delle dogane che separano l'Italia dalla Svizzera, direzione Sankt Moritz, guidavo la mia macchina in compagnia di mio cugino Edmond, quando, attratti da un rombo, ci voltiamo ad osservare una R8, supercar dell'Audi appena prodotta. Edmond dice a voce alta: "Che bella, sembra una macchina del futuro". Io rispondo subito: "Appariscente, ma a me non piace". Capita spesso, tra ragazzi, di trovarsi a commentare le automobili che si incontrano strada facendo, qualche commento e via. Tutto normale. Quella volta però mi fermai a pensare un po alla frase di Edmond. "Sembra la macchina del futuro".
Sovente mi capita di riflettere, tra me e me, sulle forme, i colori, i significati degli oggetti o dei costumi che mi circondano, è il mio lavoro, è il mio dovere, una sorta di deformazione professionale che però mi perseguita fin da bambino. Chi compra cosa, perchè, in quale momento, tra cosa ha scelto? Qual'è il contesto ambientale di un prodotto? Cosa ha fatto di esso un successo o un insuccesso? In cosa è perfettibile? Domande addirittura banali per chi deve occuparsi di mercato. Da sempre sono stato convinto che il mercato si vinca, a lungo termine con il "breakthrough", con lo squarcio calcolato delle nostre aspettative. Ogni grande prodotto è figlio della sua epoca, è vero, ma per vincere deve anticiparla d'un soffio. Deve correre con un balzo d'anticipo sulle nostre necessità, che non devono essere soddisfatte, devono essere anticipate. Il consumatore deve pensare: "Ecco cosa volevo, ma fino ad ora non ci avevo ancora pensato". Solo così si rimane nella storia. Il procedimento mentale di fronte al potenziale acquisto deve essere: cos'è? > a cosa serve? > non lo avevo mai immaginato > è bellissimo > lo stavo aspettando > non posso farne a meno > lo compro a qualsiasi prezzo. Chiaramente mi riferisco ai procedimenti cognitivi dei cosiddetti "anticipatori", ovvero coloro che serviranno da showcase per diffondere alle masse tale desiderio. Gli anticipatori sono consumatori come tutti gli altri, ma è loro prerogativa avere la sensibilità di capire che cosa resisterà e cosa scomparirà. Tale prerogativa è dovuta alla innata capacità di leggere il futuro. Non è una questione di chiaroveggenza, è piuttosto un fatto di anticipazione. Questi individui non si sorprendono facilmente, perchè hanno grande dimestichezza con i codici sociali. E' difficile tender loro tranelli con innovazione spicciola o colpi ad effetto. La loro attenzione si ottiene soltanto con la vera modernità. Qui si torna al cuore del nostro ragionamento: cosa è moderno? Cercando di sempilficare la questione diciamo che è moderno tutto quello che rispecchia in maniera esaustiva la complessità delle problematiche e dei codici sociali del proprio tempo. Su questa base è quindi ragionevole sostenere che un prodotto "moderno" non sarà mai rivoluzionario, al massimo sarà una "cash cow" da spremere bene bene nell'arco di un semestre. In altre parole oggi non è pensabile costruire un successo sulla modernità, o più precisamente, non è pensabile costruirgli attorno un'impresa a lungo termine. Dieci anni possono essere coperti con 20 prodotti "moderni", quando ne basterebbe uno davvero sorprendente per ottenere miglior risultato. Non è esattamente facilissimo pensare un buono prodotto "moderno", tuttavia gli esempi sono davvero tanti, basti pensare, recentemente, agli orologi IKE Milano (simpatica soluzione per chi desiderava avere un Rolex non potendoselo permettere) o ai braccialettini Livestrong (dapprima molto esclusivi poi stradiffusi e stracopiati). Prodotti di successo, ma davvero non breakthrough, come fu a suo tempo l'iPod, forse l'esempio più comprensibile di prodotto davvero innovativo. Oggi sembra un prodotto scontato, sembra esista da sempre, interpreta alla perfezione la nostra epoca, ma ricordo ancora distinatamente la prima volta che ne vidi uno, molti anni fa, quando forse non aveva ancora motivo di esistere. A prima vista era un oggetto tanto bello ed affascinante esteticamente, quanto indecifrabile nell'utilizzo. A quell'epoca, fine anni '90 il trend stilistico globale prevedeva linee indecise e sfoggio delle parti tecnologiche a tutti i costi. Gli impianti hi-fi erano una costellazione di spie lunimose, pannelli a cristalli liquidi che sembravano luna park, moltitudini di tasti fluorescenti, incroci di rette che sembravano derivati da robot fantascentifici. Le automobili facevano a gara per palesare dotazioni tecnologiche, ogni sorta di leva, pulsante, lumino trovava posto sui cruscotti. Gli alettoni erano prominenti, i dettagli "tecnologici" abbondavano ancora su ogni sorta di prodotto. Era il retaggio della corsa tecnologica degli anni '80. Digitale era la parola d'ordine. Quando quel piccolo parallelepipedo bianco (bianco!) si mostrò al mondo, con le sue linee elementari ed i suoi precisi raccordi, si trattò di colpo di fulmine. Quello era un breakthrough, nessuno se lo aspettava, perche non faceva parte dei codici percostituiti della nostra "fantascienza", del nostro "futuro ideale". Tutti noi abbianmo una cultura del futuro, che proviene dalla letteratura di genere, dai fumetti, dai film, dalle proiezioni. Basi spaziali, auto volanti, viaggi nel futuro, teletrasporto, domotica avanzata, sono alcuni degli elementi che, sebbene non esistano, tutto il mondo si attende. Qunado sarà commercializzata la prima macchina volante nessuno di noi si sorprenderà più di tanto. Se vi chiedessi di descrivermi un appartamento del 2050, sono sicuro che ognuno di voi avrebbe già una visione fissa, più o meno corrispondente all'immaginario collettivo. Dell'iPod invece, non sareste stati nemmeno in grado di definire la categoria di prodotto. Gli mp3 erano un miraggio, pochi posti nel mondo disponevano di sufficiente ampiezza di banda per consentire una fluida fruizione di questo mezzo, il Discman regnava ancora incontrastato. Ci trovavamo di fronte ad un' innovazione totale, estetica e funzionale. L'iPod non interpretava i nostri tempi, li anticipava d'un soffio. Di lì a poco tutti avrebbero sentito l'irrefrenabile necessità di possederne uno. Nessuno ai tempi disse: "Ecco il riproduttore musicale del futuro!", gli anticipatori invece pensarono "Cos'è? E' bellissimo. Lo voglio". Dopo meno di dieci anni, ecco che le masse ha nno scoperto l'iPod, che è moda, utilizzo e specchio, soltanto adesso, dei nostri tempi.
Cinema e letteratura da sempre hanno dovuto fare i conti con il futuro e la science-fiction, con risultati alterni, buone intuizioni o clamorosi fallimenti. Ricordate Ritorno al Futuro? Nel secondo episodio la casa del vecchio Marty McFly era del tutto simile alle nostre, con i suoi sistemi di comunicazione integrati, principi di domotica, videocitofoni e schermi piatti. In Io,Robot, Will Smith guidava un Audi con pilota automatico identica a quella che Edmond ha definito l'auto del futuro, contraddicendosi in termini. Come può un oggetto "venire da futuro" se ne abbiamo già un'immagine chiara? Arancia meccanica, con la sua sobrietà futurista è arrivato molto vicino a quello che poi si è avverato, è vero, ma che dire allora di 2001:Odissea nello spazio? Adesso potete capire quanto Kubrick fosse fuori strada. Pochi film hanno saputo leggere il futuro, tra questi sicuramente Blade Runner, considerato il vero manifesto di quello che poi sarebbe stato definito Cyber-punk, movimento che ha anticipato non poco quello che sta accadendo oggi: la spersonalizzazione tecnologica, ovvero la genesi di altre vite su supporti telematici come fuga dalla realtà immanente. Second Life ed giochi online di massa ne sono esempio lampante. Contenitori vuoti, neutri, da animare secondo coscienza, proprio come l'iPod, che da solo non trova ragion d'essere, prende vita dai nostri input. Matrix, in questo senso, è arrivato davvero in ritardo. Interessante è anche la versione di Terry Gilliam, con il suo controverso Brasil. Qui l'esercizio è di rertofuturismo, ovvero cosa sarebbe successo se l'analogico avesse vinto sul digitale. Il risultato è chiaramente improbabile e goffo, ma è sicuramente più interessante reinterpretare un bivio piuttosto che attingere squallidamente al "codice futurista" che ormai tutti abbiamo saldo tra le nostre convinzioni. Buona è stata anche la prova di Andrew Niccol. A Gattaca, la città del futuro, il disegno sociale basato sulla perfezione, la sicurezza, la riproducibilità, traccia contorni asciutti di una realtà non lontana dal prendere forma nel mondo reale. Tuttavia l'esempio più bello e calzante proviene da un film dal povero spessore artistico, Dredd -La legge sono io-. Il film si fa carico di tutto l'archivio pregresso d'immagini futuristiche e si sviluppa esattamente secondo le attese però una scena resterà per me indimenticabile: Stallone usa un bagno (dalle architetture scontatamente avvenieristiche)e , quando è il momento di procedere alla pulizia delle parti intime, prende una bellissima congliglia bianca (stupendo contrasto tra tecnologico ed organico), destinata appunto a svolgere funzioni di pulizia. Stupefacente! Come si usava quell'oggetto? Che tecnologia celava? Perchè quella forma organica?

Restare spiazzati davanti a qualcosa, ma al contempo esserne terribilmente attratti, questa è la modernità. La vera innovazione non è mai immediatamente comprensibile perchè è frutto di menti che lavorano un soffio avanti alle masse. Quando vi troverete a pensare "viene dal futuro" vorrà dire che sarete fuori strada. Quando sarete i primi a sentire il fascino di qualcosa che nessuno ha ancora, che nemmeno voi comprendete a fondo, che i vostri amici prenderanno in giro (ma compreranno dopo qualche tempo), allora, beh, consideratevi anticipatori.

JS