Saturday, September 30, 2006

QUANDO CI VUOLE CI VUOLE, ovvero la dialettica spettacolo-spettatore, da Hegel a Andy Warhol

Viviamo nell’epoca della sovraesposizione, della visibilità, della ripetibilità: see all, buy something.
Il marketing esperienziale è pratica ormai diffusa anche nel contesto artistico. Un film, così come un quadro, non sono soltanto opere con coscienza (o autocoscienza?) contemplativa, sono prodotti con coscienza di vendibilità. Ovvero non desiderano soltanto essere viste, desiderano essere comprate. Ecco che lo spettatore è spinto a sovvertire il suo ruolo tradizionale, è investito di responsabilità attive nei confronti dello “spettacolo”, essendo parte di esso sarà più propenso ad usufruirne. Interessante a questo punto sarebbe il raffronto con la tesi hegeliana sullo spettacolo (Fenomenologia dello Spirito, Spirito Religioso) dove l’esistenza del ruolo stesso dello spettatore è subordinata alla presa di coscienza della sua funzione dialettica,. Lo spettacolo esiste soltanto fino a che l’osservatore è passivo, dominato (per dirla con Guy Debord). Cosa succede, quindi, quando lo Spirito (come stadio dell’evoluzione hegeliana) passa dalla forma di sostanza alla forma di soggetto, ovvero all’identificazione interpretativa di sé stesso con l’opera d’arte? Prima ci fu la rappresentazione religiosa (cosciente dapprima, autocosciente poi) elitaria, poi venne la Pop Art, ferente la presa di coscienza dialettica del popolo, mastodontico erede di quel demos che rese viva la tragedia greca attraverso il suo dialogo con il coro. L’arte di Andy Wharhol nasceva con il presupposto di rendere spettacolare lo spettatore stesso, portò alle estreme conseguenze il ribaltamento dei ruoli. La sostanza diventò soggetto, innescando un meccanismo dedalico che mutò per sempre il punto di vista dello spettatore.


JS

UBERMENSCH



Da "Superman Returns" di Brian Synger: "...sono stato mandato per salvarvi...".
Superman in volo sopra la Terra con Lois Lane sente il lamento congiunto dei poveri terrestri e si proclama Messia, salvatore, non più per necessità-virtù, come eravamo sin qui abituati a credere, bensì per investitura divina, per eredità di padri che forse volevano scampare almeno a noi disgraziati epigoni la loro avvenuta disfatta. La morale nietzschiana non scampò alla morsa nazista, perchè dovrebbe scampare a quella americana. Dal rimbecillito Superman all'eletto Ubermensch, il passo è rapido e pericoloso, specialmente laddove l'adorabilmente spiantato Lex Luthor spara per mano di un galoppino islamico-buddhista-industa-non-cristiano un'arma non convenzionale di fabbricazione sovietica.

JS



Variazioni sul tema
Nell'epilogo di quella straordinaria storia d'amore che è Kill Bill c'è spazio per un po di Epos moderno: Bill vede in Superman un Oltreuomo (si badi, non Superuomo) ed in Clark Kent la personificazione della sua compassione. Resta comunque che Superman è Superman, non Klark Kent. Tarantino rinuncia alla figura messianica ma riscchia di scivolare in un'altrettanto erronea figura prometeica.


Bill a Beatrix: "Come sai, io sono un grande appassionato di fumetti. Soprattutto di quelli sui supereroi. Trovo che tutta la filosofia che circonda i supereroi sia affascinante. Prendi il mio supereroe preferito, Superman. Non un grandissimo fumetto...la sua grafica è mediocre. Ma la filosofia...la filosofia non è soltanto eccelsa: è unica. L'elemento fondamentale della filosofia dei supereroi è che abbiamo un supereroe e il suo alter ego. Batman è, di fatto, Bruce Wayne. L'Uomo Ragno è, di fatto, Peter Parker. Quando quel personaggio si sveglia al mattino è Peter Parker. Deve mettersi un costume per diventare l'Uomo Ragno. Ed è questa caratteristica che fa di Superman l'unico nel suo genere. Superman non diventa Superman. Superman è nato Superman. Quando Superman si sveglia al mattino è Superman. Il suo alter ego è Clark Kent. Quella tuta con la grande S rossa è la coperta che lo avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono, sono quelli i suoi vestiti. Quello che indossa come Kent, gli occhiali, l'abito da lavoro...quello è il suo costume. E' il costume che Superman indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? E' debole, non crede in se' stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana."

Con ogni probabilità Don Siegel non ha mai riflettuto sulla qualità del mandato della sua creatura. Forse Superman è solo un imbecille. Con buona pace di Bill.

Friday, September 29, 2006

BE FABULOUS*



Ieri, giovedi 28 Settembre 2006, Moet et Chandon ha fatto fuoriuscire dalla lanterna della Statua della Libertà migliaia di litri di champagne. La statua, fresca di restauro, era più illuminata del solito. A 17 giorni dalle celebrazioni del primo lustro della nuova America, una compagnia francese seppellisce la tragedia con le bollicine. I pesci dell'Hudson gridano al miracolo e ringraziano i francesi, che passano loro champagne, al posto delle solite acque nere.
Be Fabulous. Recita qualcuno.

JS

LA BIBBIA DEL RADICAL CHIC


Il New York Times perde copie e credibilità ma resta il giornale più glamour per non capire gli Usa. Pendiamolo quindi a riferimento.

The Queen

However Heavy It Gets, Wear a Crown Lightly
By MANOHLA DARGIS
Stephen Frears's sublimely nimble evisceration of the British royal family pries open a window in the House of Windsor around the time of the death of Diana, Princess of Wales.

This toughness is bracing, at times exhilarating, and it also reminds you of just how very good a director Mr. Frears can be; certainly it’s a relief after the shameless pandering in his last venture, “Mrs. Henderson Presents.” The new film serves as a return to form for the director not only of “Dangerous Liaisons” and “The Grifters,” both of which share with “The Queen” an interest in toxic tribal formations, but also of more freewheeling ensemble entertainments like “Sammy and Rosie Get Laid.”

The Black Dahlia

In a Noir Los Angeles, Murder Most Lurid

By Manohla Dargis

THE union of Brian de Palma and the murdered woman known as the Black Dahlia should have been a marriage made in movie heaven or, preferably, hell. A master of modern horror, Mr. De Palma has a flair for the frenzy of violence, specifically when visited on the female body, which makes him seem an ideal fit for this spectacularly cruel crime. At their finest, his films are marvels of virtuosity, alive to the contradictory, at times disreputable pleasures of the movies. Blood runs through his work, but so does juicy life. In The Black Dahlia though, that life has been drained from the filmmaking, much as the blood was drained from the victim’s body.

Manohla Dargis ha iniziato a pubblicare nel 1987 per "The Village Voice", dopo esperienze ad "L.A. Weekly" ha assunto la direzione editoriale della movie section per il "New York Times". Oggi è una delle più autorevoli critiche degli Stati Uniti.

A.O. Scott collabora dal 2000 con il "New York Times". Probabilmente il più grande critico cinematografico vivente.

Perchè scegliere queste due voci straniere? Perchè sono in anteprima, e per un po di solidarietà verso il decadente radical chic. Non me ne voglia Alessandro Porro. Avrà voce.

Per finire, mi piace pensare che l'inglese non sia un problema.

COMING SOON ON THEATERS


La vita è uno spettacolo.
Potete scegliere la via più semplice, ma non indegna, di
essere spettatori accorti, oppure quella più difficile, quella
di prendere la penna in mano ed essere sceneggiatori della
propria esistenza. L'importante è non lasciare sul tavolo
il coltello della critica.

Jacopo Signani Corsi