
Uno dei film che ho atteso di più nella mia vita, morte di Ledger a parte. Sono cresciuto con il Joker di Jack Nicholson, che ho amato all'infinito perchè l'ho visto ogni volta diverso, ogni volta un po più in profondità. Sono cresciuto con Tim Burton, di cui ho amato i freak, ancor più della inclinazione pop che, a dirla tutta, adesso non vedo nemmeno più, se non nei colori sgargianti dei soli Batman. Forse qualcosina anche nell'amore di quel Joker per il mercato e per l'adulazione della piazza. Questa premessa per chiarificare che non sono stato tenero nei confronti di Batman Begins e nemmeno di The Dark Knight, che ho comunque amato, in un verso o nell'altro.
L'esordio di Christopher Nolan nella serie è stato uno di quelli da tolgiere il fiato: Batman Begins è un capolavoro, profondo, epico, bello. The Dark Knight, invece, è stato sopravvalutato, come lo fu il Corvo a suo tempo, che si è caricato della tragica morte di Brandon Lee. Sabato scorso l'Herald Tribune riportava in prima pagina una mangnifica recensione di Manhola Dargis (assieme ad AO Scott la più autorevole critica vivente) e la cosa mi ha colpito: mai avevo visto dare tanta importanza ad un film. Nel bell'aricolo si è speculato sulle presunte contaminazioni post 9\11, sù qùanto i nùovi aspetti formali e morali del film siano figli della nùova America, qùella che si interroga costantemente sù chi siano i bùoni, chi siano i cattivi e su quali siano i sentimenti che li muovono. Chiunque, poi, si è scomodato ad esaltare la matrice caotica delle gesta del Joker, dando vita ad un battage eccessivo, ripetitivo ed addirittura un po' macabro laddove si è calcata la mano sulle vicende extracurrulari dei protagonisti (denunce a carico di Bale e morte di Ledger). Insomma, per l'ennesima volta mi trovo d'accordo con Mariarosa Mancuso (Il Foglio), quando, dopo aver premesso che si tratta di un "bel film", stigmatizza l'ostentata propensione alla ricerca dei significati che permea tutto il film, innervosendosi addirittura per "il disegnino" che Nolan non lesina mai quando si tratta di chiudere i passaggi meno comprensibili della lunga parabola morale del Cavaliere Oscuro.
L'esordio di Christopher Nolan nella serie è stato uno di quelli da tolgiere il fiato: Batman Begins è un capolavoro, profondo, epico, bello. The Dark Knight, invece, è stato sopravvalutato, come lo fu il Corvo a suo tempo, che si è caricato della tragica morte di Brandon Lee. Sabato scorso l'Herald Tribune riportava in prima pagina una mangnifica recensione di Manhola Dargis (assieme ad AO Scott la più autorevole critica vivente) e la cosa mi ha colpito: mai avevo visto dare tanta importanza ad un film. Nel bell'aricolo si è speculato sulle presunte contaminazioni post 9\11, sù qùanto i nùovi aspetti formali e morali del film siano figli della nùova America, qùella che si interroga costantemente sù chi siano i bùoni, chi siano i cattivi e su quali siano i sentimenti che li muovono. Chiunque, poi, si è scomodato ad esaltare la matrice caotica delle gesta del Joker, dando vita ad un battage eccessivo, ripetitivo ed addirittura un po' macabro laddove si è calcata la mano sulle vicende extracurrulari dei protagonisti (denunce a carico di Bale e morte di Ledger). Insomma, per l'ennesima volta mi trovo d'accordo con Mariarosa Mancuso (Il Foglio), quando, dopo aver premesso che si tratta di un "bel film", stigmatizza l'ostentata propensione alla ricerca dei significati che permea tutto il film, innervosendosi addirittura per "il disegnino" che Nolan non lesina mai quando si tratta di chiudere i passaggi meno comprensibili della lunga parabola morale del Cavaliere Oscuro.
In sostanza, credo che siamo giunti ad un capolinea, quello della accertata dignità dei film di supereroi, processo avviato nei primi anni 2000 (X-Men, Hulk, Spider-man, Iron Man, Hellboy, Hancock) e giunto adesso al pieno compimento. Non solo film per ragazzi, ma vere e proprie riflessioni sui grandi temi della vita attraverso le passioni dei supereroi, umani, troppo umani.
Oggi, sempre sull International Herald Tribune, AO Scott tuona: "A genre in danger of losing its superpowers". In poche parole siamo giunti all'osso. Se l'escalation di genere ha colmato progressivamente il divario con la drammaturgia umana, mirando sempre più in alto in fatto di contenuti, è possibile che lo scorso weekend siamo arrivati allo Zenith delle potenzialità. Per dirla ancora con Scott: "Any comic book fan knows that a hero at the height of his powers is a few panels removed from mortal danger". Ovvero, manca la sensazione di mortalità e di pericolo tangibile che rappresenta l'hubris delle narrazioni drammatiche. Dopo tutte le elucubrazioni sui perchè del bene e del male e qualche frase ad effetto ("se non muori da eroe, vivi così a lungo da diventare il cattivo") sappiamo che Batman vincerà e vivrà, Joker perderà, e morirà. Ci si interroga quindi sulla necessità di percorrere una strada cosi greve, insistita e, tutto sommato, parallela alla narrazione, quando ci si confronta con un'opera di finzione, che dovrebbe fare dell'agilità e dell'epica, non della riflessione costretta, la sua vera cifra stilistica. Le cose più belle, si sa, non devono essere spiegate ed è soprattutto per questo motivo che, a malincuore, non posso che definire The Dark Knight un capolavoro mancato, che tira verso "Before the devil knows you're dead" ma diventa, dopo un'ora buona di spettacolo puro, onesto e veramente profondo, il compito prolisso del più bravo della classe che disattende puntualmente le attese di un vero guizzo di talento perchè troppo intento a ribadire al professore che lui ha studiato più degli altri.
JS