Monday, October 09, 2006

Odio Sofia Coppola. (non è vero)


Nella mia newsletter personale del New York Times si legge: “Sofia Coppola’s Paris…this city can change your mood completely…In the Marais, we went to K. Jacques, a tiny shop that specializes in all types of classic leather sandals. The simplicity of the shoes immediately conjured up images of sunning in St. Tropez…”.
Lei è una ragazza bruttina, bruttarella, figlia di papà (per davvero) che, guarda caso, ha deciso di lanciarsi nel cinema. La ricordate, sempre bruttarella, nel terzo episodio del Padrino? Piccola parte per una figlia di papà, appunto. Poi, per molto tempo è scomparsa, non vale niente, la ragazza, era li per caso. Quando papà è andato a riposo non ha avuto più un secondo di celebrità. E allora cosa ci fa adesso, tirata a lucido come una mademoiselle d’antan, nella newsletter più cool del mondo, che descrive minuziosamente i suoi spostamenti nella ville lumière?

Ha scritto, ecco perché. E quanto ha scritto! E come ha scritto! Ha rinunciato presto ad essere Face; piuttosto che rifarsi il naso importante ha preferito rifarsi l’Oscar, alla sceneggiatura, per quel piccolo gioiello di leggerezza che è stato Lost in Translation. Film divenuto un caso soltanto dopo la buona sortita al Chinese Thatre. (a milano era in programmazione soltanto al Cinema President, il più snob, il più raffinato, il più protettivo della città; due mesi dopo è stato dato in pasto agli applausi dell’ultim’ora del pubblico becero dell’Odeon). Ho amato quel film, mi ha ridato fiducia nella scrittura, una storia che non avrebbe avuto nessun bisogno di essere scritta; sta lì la sua grandezza, oltre che in uno splendido controllo delle atmosfere e dei sentimenti; un film sulla vita, sulle piccole cose, sulle sensazioni, sulle relazioni che ci tengono vivi. Quello che va perso nella traduzione è il superfluo, quello che conta si trasmette, eccome. I due erano anime senza un futuro insieme, e lo restano, di buon grado, perché in cambio hanno avuto qualcosa di speciale, indecifrabile, un sussurro di speranza.

I risultati non arrivano mai per caso, Sofia ha sudato, scrivendo, interpretando, producendo, dirigendo, da sola, con Tim Burton, Gorge Lucas, Quentin Tarantino, che le riserva addirittura uno special thanks nei titoli di coda di Kill Bill vol.2. Poi si è sentita pronta, e ci ha dato Virgin Suicides (Il giardino delle vergini suicide) sul cui giudizio preferisco sorvolare, è un’opera di indubbio fascino, ma troppo controversa, crudele e strana per essere presa da sola. Credo che debba essere inquadrata in un’ottica sequenziale, data la sua immaturità e poca immediatezza. Di certo ne resta lo spessore intellettuale. Si capiva chiaramente che la ragazza faceva sul serio.

Eccoci adesso alla terza prova, tra poco vedremo l’ultra-cool Marie Antoinette. Se tre indizi fanno una prova, allora è di questa che c’è bisogno per dare una misura effettiva al talento di Sofia Coppola. Per il momento è dato sapere soltanto che l’accento artistico ha subito una brusca sterzata; il clima patinato e burroso di Lost in Translation lascerà il posto ad un vortice di colori e brilli che ricorda molto il Baz Luhrmann di Romeo+Juliet, nell’intento di mandare a braccetto commedia, tragedia e teen-appeal.

Sofia mi sta antipatica, perché sembra fare tutto con una leggerezza che non è propria delle donne di cinema, che solitamente trascendono in climax da Guerilla Girls. Sembra essere supponente e ancora lì-per-caso. Una incosciente regina del glamour, sopravvalutata per aver fornito soltanto una prova degna di nota.

In realtà non è vero, la sensazione che provo è che ad ogni tentativo potrebbe scrivere, dirigere o produrre il mio nuovo film preferito.

6 commenti:

Jacopo Signani Corsi said...

Lo trovi addirittura cosiì gossiparo??? hhaaha

Jacopo Signani Corsi said...

grande chcuk!

Mauro Suttora said...

"Quello che va perso nella traduzione è il superfluo"

scherzi, vero?

trad-ur-re
trad-i-re

Jacopo Signani Corsi said...

"Quello che va perso nella traduzione è il superfluo"

La "translation" nel film è quella tra l'americano ed il giapponese, alla quale sono costrette due persone che si trovano lì loro malgrado, disinteressate, in fondo a quello che li circonda. In tal senso sta dunque il "superfluo".

Tradurre e tradire, comunque vogliono "portare via".

trad-eo.

Jacopo Signani Corsi said...

sara...credo che virgin suicides sia davero strano: non posso dire d'averlo amato, ma posso dire d'esserne stato intrigato.

Andrea Maggiani said...

oooooiiiiii cosa cvazzo è