Thursday, April 16, 2009

Cosa ci stiamo perdendo, parte 1: il calzolaio


Si fa un gran parlare dei valori che determineranno il mercato dei prodotti negli anni avenire, della necessità di una svolta concreta, a livello di coscienza di produzione, nel pensare, progettare e produrre i prodotti del futuro. Si parla di ritorno al valore intrinseco, di durabilità, di chiarezza e della assoluta necessità di imprimere una nuova forza etica globale al mercato consumer.



Bene, adesso vi racconto una storia, una favoletta ai margini del del mercato globale che credo sia indicativa a proposito di quello che rischiamo di perdere di vista.



L'anno scorso ho deciso di comprarmi un paio di mocassini cosiddetti "da battaglia", da usare tutti i giorni anche per andare al lavoro in bicicletta, dal momento che non mi sentivo di sacrificare i loafer color miele di John Lobb. Sono andato in un famoso negozio di Milano e, in linea con le necessità dette, ho comprato un bel paio di mocassini Sebago dall'aspetto "solido" e dalla lineo piuttosto pesante. Non esattamente il genere che amo, ma più che sufficiente per esaudire quello specifico bisogno. Dopo soltanto qualche mese una delle due suole comincia, di colpo, a staccarsi. Mi informo su quali fossero i migliori calzolai di Milano, e me ne viene indicato uno che passa per essere il non plus ultra. -"Mio papà ci ha portato tutte le sue Church"- mi è stato detto. E lì sono andato, in Corso Italia. Non specifico il nome perchè non è carino, però state attenti a quanto dirò di seguito, così potrete evitarlo, se lo riterrete opportuno. Questo "signore", con aria altezzosa comincia ad elogiare i pregi del suo "metodo", mi spiega meticolosamente tutto quello che accadrà ai miei mocassini. A me sta bene; gli confermo l'ordine, e passo a ritirare le scarpe una settimana dopo. Spendendo la bellezza di 50 euro. Quasi un quarto del costo dei mocassini nuovi.


Passano altri due mesi, forse meno, e la medesima suola si stacca di nuovo. Io, inorridito, e un po preso da altre cose, decido di non tornare dal calzolaio, nemmeno per le giuste rimostranze. I mocassini rimangono nell'armadio finchè mio padre non mi avverte dell'esistenza di un "grande clazolaio" ad Avenza, una delle zone più depresse della provincia di Carrara, la città nella quale sono cresciuto, e che, piano piano, mi sta facendo ricredere su alcuni stereotipi legati alla presunta superiorità delle grandi città in materia di servizi, in senso lato.


Mio padre aggiunge: -" Vai da lui, fa anche le scarpe su misura, e so per certo che ha parecchi clienti di Milano"-. Ed avere clienti "di Milano" comunque, a parte tutto, è una buona garanzia, perché certi milanesi alle loro cose tengono molto e sono abituati a scegliere il meglio.

Siamo andati in delegazione ufficiale (mio parde, mio fratello ed io) ed abbiamo avuto non pochi problemi ad individuare fisicamente la bottega. Immaginate una situazione urbanisica disastrata: strade strette e contorte, edilizia post-bellica fatiscente, palazzetti di massimo due piani e, come se non bastasse, nessun marciapiede. Le porte di case e negozietti danno direttamente sulla carreggiata. Se volessimo divertirci a trovare l'esatto opposto di Via Montenapoleone la mia scelta ricadrebbe quasi certamente su quel tratto di strada.

Finalmente troviamo la porticina, dalla quale io passavo a malapena. E non sono davvero un gigante. Una volta superata tendina eccoci all'interno del famoso calzolaio: una sola stanza, grande al massimo (e non esagero) otto metri quadrati, pareti rivestite da scaffalature sbilenche piene di scarpe, ovviamente, e piani d'appoggio di fortuna ricavati dall'accumulo di scatoloni e vecchi macchinari del mestiere. Una vecchia radio che scricchiola. L'odore inconfondibile delle patine, ma soprattutto lui, "Cane Nero". Cane Nero, il nostro uomo, ha un occhio solo, ma non ha provveduto a "colmare il vuoto" con una protesi, ha semplicemente una piccola fessura bianca. Quanto è alto non lo so, perchè lui sta seduto su di uno sgabellino alto 30 cm e spostandosi impercettibilmente su di esso copre le piccole distanze che lo separano da tutto quello di cui ha bisogno: una specie di fresa elettrica, la parete degli attrezzi, le scarpe e, ovviamente la rotella della radio. Nonostante fuori la giornata fosse molto luminosa, là dentro era penombra ed una lampadina faceva il resto, buttando la sua luce gialla. Quando entriamo Cane Nero alza l'occhio, e stacca la sigaretta dalle labbra: -"Aspettate un minuto"- dice - e continua a fresare un tacco.

In quell'interminabile minuto mi guardo intorno, scruto tra gli scaffali, e mi accorgo subito che le scarpe esposte non sono cosa da poco. Sono subito evidenti belle coppie di scarpe inglesi, alcune impolverate, altre scintillanti. Sicuramente non in linea con il luogo che le ospitava. Conocendo i miei concittadini, so per esperienza che difficilmente quelle scarpe appartenevano tutte a loro. Era chiaro che la maggior parte di quelle scarpe veniva da fuori.

Cane Nero -come lo ha ribattezzato mio padre, per la sua somiglianza con il pirata dell'Isola del Tesoro di Stevenson - ci dà finalmente la sua attenzione: -Mi faccia vedere- esordisce.

Gli mostro i mocassini di cui ho parlato prima ed un altro paio, ancora più malconcio, che avrà almeno trent'anni, al quale sono follemente affezionato. Lui guarda entrambe le paia. Sul secondo paio, guardandolo amorevolmente, dice - vedrò cosa posso fare -, a proposito del primo paio invece, scuote la testa, cercando una sigaretta. L'accende, alza l'occhio e mi dice: -chi è il bastardo che ha fatto questo?-. La risposta la conoscete, era stato il calzolaio "fighetto" di Corso Italia a milano. Mi fa vedere che le cuciture erano fatte a macchina, mi spiega che così si compromette l'integrità dell'intersiole. O meglio, non me lo spiege, me lo fa capire a modo suo. Sbuffando, scuotendo la testa e scambiando fumo con l'atmosfera del suo piccolo covo. Già, perchè non si può dire che lui fumi, piuttosto respira fumo tenendo una sigaretta sempre incollata all'angolo destro della bocca. Chi fuma così in genere è costretto a tenere un occhi chiuso. Lui non ha questo problema. Tocca la pelle della tomaia, mi dice che è secca, l'accarezza e mi fa vedere come fa lui a risuolare le scarpe. Prende un meraviglioso paio di Edward Green, le gira sottosopra a mi fa vedere cheogni punto è fatto a mano, che lo fa lui, con quelle mani nere, dure e incallite. Non appena capisce di avere la possibilità di parlare con qualcuno veramente interessato al suo lavoro comincia a snocciolare aneddoti tra cui questo è il più bello. Racconta di un cliente venuto da Milano con un paio di Church's mal suolate. Lui le ripara, il cliente è talmente contento che le porta a Londra alla Church, dove le aveva comprate, per far vedere di cosa era stato capace Cane Nero, il Pirata di Avenza. La Church si mette in contatto con lui (chissa con quale mezzo e in quale lingua), si complimenta per l'operato e gli spedisce un libro ufficiale dell'azienda, che lui tiene li in bella mostra, impolverato, ma carico di orgoglio.

Ci racconta anche che purtroppo non può più fare scarpe, perchè è morta la signora che gli faceva le tomaie, e prende un paio di scarponi da cavatore fatti a mano e su misura. Con un po di nostalgia mi fa notare i dettagli e le rimette aposto, nello scaffale più in alto.

Una volta finiti i racconti mi dice di non avere fretta, perchè - "io sono preciso, meticoloso" - sussurra. Nelle grandi città "non avere fretta" significa non poter finire un lavoro prima del weekend. Per lui non aver fretta significa: - "non prima di 20 giorni"-.

Venti giorni in cui prenderà le mie scarpe e, con tutto l'amore del mondo, le smonterà, le curerà, le cucirà, fumerà cento sigarette, ascolterà vecchie canzoni alla radio e, sono sicuro, in fondo in fondo, sarà contento di aver conosciuto un ragazzo giovane che ha mostrato interesse per il suo lavoro, per quello che forse è stata la cosa più importante della sua vita. Le scarpe. Quando guardi un grande calciatore capisci subito la sua arte da come tocca la palla, da come la tratta; quando ho visto Cane Nero toccare le scarpe ho capito che non era un mercenario, che non gli interessavano le luci della riblata, il glamour delle grandi vie commerciali, a lui interessa soltanto la sua arte.

Uscendo da suo piccolo antro buio ho provato un po di tristezza mista ad entusiasmo, come quando conosci la donna giusta troppo tardi, come quando conosci un amore a scadenza certa. Ero felice di aver trovato un uomo così, ma ero triste perché con lui non c'era nessuno, non c'era un nipote che stava lì ad imparare. Cane Nero era solo, e quando se ne andrà lascerà un vuoto, non ci sarà nessuno dopo di lui.


Ecco, è proprio questo che stiamo perdendo, l'amore per qualcosa di originale, la forza d'animo che ci vuole per tramandare un paio di scarpe di generazione in generazione. Se scompaiono uomini come Cane Nero anche chi vorrà sfuggire alle logiche del mass-market si troverà in difficoltà. Perchè sarà sempre più solo nella sua battaglia.


Quano tornerò da lui, tra venti giorni, pagherò volentieri per il suo lavoro e cercherò di rubargli qualche piccolo segreto. Poi andrò a Milano, in Corso Italia, e non mi lamenterò, farò solanto vedere a quel presuntuoso cosa significa fare il proprio lavoro. E farlo con passione.


JS

2 commenti:

Andrea Maggiani said...

che chicca voglio portare anche i mie mocassini da cane nero.....che top sono questi gli articoli che amo leggere del tuo Blog.
Ciao Grande

Continua così !!!!ciao ciao

clayrays@hotmail.com said...

davvero molto bello l'articolo,io sto imparando a fare scarpe fatte a mano e spero di diventare bravo come questo signore.